Il pensiero templare trae le sue origini da quello celtico, i primi cavalieri erano originari della Champagne nel nord-est della Francia, zona notoriamente di tradizione celtica.
Agli inizi del XIII sec. gli stati franchi in Terrasanta erano provati dalle sconfitte militari e il morale dei Crociati ne risentiva fortemente. Nel 1187 il Saladino riconquistò Gerusalemme inaugurando una serie continua di vittorie, che si protrasse fino al secolo successivo, la caduta della Città Santa venne interpretata dai Crociati, e in particolare da quelli appartenenti agli ordini militari, come un segno divino.
Il motto iniziale dei Pellegrini armati Deus vult si trasformò in Deus non vult perché le truppe franche interpretarono le sconfitte come una punizione divina causata dai loro peccati.
Il Cavaliere Crociato si trasformò da guerriero in cerca di gloria e affermazione personale, in martire della fede, pronto a offrire la sua vita in remissione dei peccati. Questo ideale di martirio era già presente nella mentalità templare fin dal suo esordio, infatti San Bernardo di Chiaravalle, nel suo “Liber ad Milites Templi” affermava che il Templare: «neppure teme la morte, anzi aspira a morire…per lui il vivere è Cristo, e il morire un guadagno…e soprattutto desidera dissolversi ed essere con Cristo, poiché questa è la cosa migliore». Da queste frasi del Santo Cistercense si intuisce come l’azione dell’Ordine Templare fosse rivolta alla salvezza spirituale raggiungibile, adottando un atteggiamento mentale prettamente celtico, attraverso le armi.
Secondo il pensiero celtico e dell’alta cavalleria, la guerra, pur essendo un avvenimento sanguinoso e quindi in un certo senso malvagio, poteva essere nobilitata e resa santa se il combattente si atteneva a dei principi di giustizia, doveva cioè combattere sempre lealmente, non calunniare e non attaccare mai un avversario più debole.
Chiaramente nella pratica quotidiana della battaglia non era facile attenersi a questi principi, quindi il confine tra guerra giusta e guerra ingiusta era molto labile ed era molto facile oltrepassarlo.
In un altro passo del Liber Milites Templi, San Bernardo definiva così il nuovo Ordine Cavalleresco del Tempio: «un nuovo genere di cavalieri è apparso sulla terra, un nuovo genere di cavalieri che infaticabile conduce una lotta parallela sia contro la carne e il sangue, sia contro gli spiriti maligni sparsi nell’aria». Da questo passo si evince che i cavalieri erano chiamati ad una duplice guerra, una terrena contro un nemico in carne ed ossa e una spirituale contro il male.
Tutta la vita del guerriero dunque, era impostata sull’idea di confine, il confine tra bene e male e tra la vita e la morte, il cavaliere lanciato al galoppo sulla battigia faceva parte dell’immaginario collettivo degli uomini d’arme, la riva del mare rappresentava il confine tra il mondo dei morti (il mare) e quello dei vivi (la terra). Era questo il destino del vero cavaliere, stare sempre tra la vita e la morte, anzi la sua vita era una preparazione per il passaggio nell’aldilà, al paradiso che solo attraverso il sacrificio totale concretizzato in una morte gloriosa poteva essere conquistato.
Questo modo di pensare e di agire trova riscontro anche nella tradizione che vuole i Templari partecipi dei segreti della Grande Opera, più conosciuta col nome di Alchimia, una scienza spirituale ed esoterica che affonda le sue radici nel più remoto passato.
L’Alchimia praticata dai Cavalieri del Tempio non aveva nulla a che vedere con quella che molti considerano una pratica volta a trasformare il piombo in oro, la loro era una ricerca esclusivamente spirituale attraverso la quale essi cercavano l’oro della conoscenza e della gloria di Dio, come i grandi guerrieri celti bramavano un posto nelle aule del Walhalla vicini ad Odino e agli altri Dei.
L’Illuminazione alchemica (affine a quella buddista e dei santi cristiani) si poteva raggiungere in due modi: uno lungo, chiamato la Via Umida, fatto di studio e lunghe meditazioni e praticato soprattutto dai monaci, l’altro rapido, chiamato la Via Secca, durava giusto il tempo di una carica e di una morte gloriosa, era questa la via dei Cavalieri che nel momento dell’estremo sacrificio trovavano l’Illuminazione.
Il pensiero Templare volto al sacrificio rifuggendo totalmente la gloria personale si può riassumere nel loro motto "Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam" ("Non a noi, o Signore, ma al tuo nome dà gloria"). Era questa la vita di questi monaci-guerrieri che furono ripagati dei loro sacrifici con la tortura e con i roghi.
Fabrizio e Giovanna
Notizie tratte da Giulio Malvani, Della sapienzialità templare
Fabrizio e Giovanna
Notizie tratte da Giulio Malvani, Della sapienzialità templare
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