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giovedì 21 maggio 2015

SU NURAXI DI SISINI - SENORBÌ -




Su Nuraxi di Sisini su trova a sud dell’omonima frazione appartenente al comune di Senorbì a circa 200 m di altezza.
Attualmente si ritiene che il monumento appartenga alla tipologia di nuraghi a tancato dove le torri affrontate si raccordano tra loro grazie a due ali di muratura rettilinea.
Esempio di nurage a tancato, il  Santa Barbara - Villanova Truschedu

Questo nuraghe, a differenza degli altri a tancato, presenta delle peculiarità come ad esempio il fatto che è il mastio che ingloba la torre secondaria, mentre solitamente è quest’ultima che si appoggia al mastio inglobandolo, inoltre presenta una simultaneità di fasi costruttive nei tre volumi in cui si articola che risulta estranea agli altri monumenti simili. 
Le condizioni attuali in cui versa il monumento rendono difficile una sua chiara lettura, ma l’accuratezza con cui sono stati messi in posa i conci e l’eleganza formale che lo contraddistinguono potrebbero indurre a paragonarlo ad altri famosi monumenti come il nuraghe Is Paras di Isili 

e il Piscu di Suelli. 

Proprio quest’ultimo monumento potrebbe fornirci delle indicazioni per quanto riguarda la struttura della camera principale de Su Nuraxi Sisini, infatti, da una parziale lettura dei resti della struttura a tholos, non si evidenziano nicchie e il corridoio d’accesso risulta rifinito e molto ampio.
Interno della torre principale
Corridoio d'ingresso
La torre principale, come già evidenziato, parrebbe costruita in fase con le due ali di muratura rettilinea, la sua tecnica costruttiva è tipica della fase nuragica evoluta (come ad esempio il tempio in antis e il pozzo sacro del Santuario Nuragico di Santa Vittoria di Serri, 
Pozzo Sacro Santa Vittoria - Serri

Tempio in antis Santa Vittoria - Serri

o l’area sacra di “Su Monte” a Sorradile) eseguita anche grazie all'espediente dell’utilizzo di un concio sagomato ad angolo che favorisce l’incastro tra i due paramenti murari.




"Cucitura del paramento murario"


Particolare del concio sagomato ad angolo

Le due pareti divergenti che si concludono con un angolo netto, partendo dalla torre principale stringono una probabile torre secondaria nel suo diametro massimo.
Particolare della netta conclusione delle pareti laterali

L’ingresso al monumento non è visibile, nella maggior parte dei nuraghi a tancato l’ingresso al “cortile” avviene da una delle cortine laterali, anche a Su Nuraxi di Sisini è probabile che l’accesso avvenisse in una di queste strutture, infatti il fianco orientale risulta più spesso rispetto a quello occidentale, questo potrebbe fare ipotizzare la presenza di un’apertura architravata con due nicchie contrapposte; inoltre potrebbe essere possibile l’ingresso dalla torre secondaria posto in asse con quello della torre principale.

Breve storia degli studi

Il nuraghe fu oggetto di attenzione già dagli anni ’40 del 1900 in seguito alla sua menzione nella tesi di laurea di uno studente di Guasila, Silvestro Ghiani, al quale si deve anche la stesura del primo schizzo planimetrico, successivamente ripreso da Giovanni Lilliu che ne ravvisò la similitudine planimetrica con i tempio a pozzo di Santa Vittoria di Serri; negli anni ‘70 fu studiato da Vincenzo Santoni che realizzò un nuovo rilievo planimetrico, pur riconoscendo la similitudine con il tempio di Serri, egli escluse un contesto abitativo - religioso, data la presenza di una tomba dei giganti nelle immediate vicinanze (oggi non più esistente) che faceva invece supporre un insediamento civile articolato in nuraghe, villaggio e tombe megalitiche. Sempre Santoni riprese il discorso negli anni ’90 e inserì il monumento nel quadro insediativo tipico della Trexenta a partire dal Bronzo Medio, accostando la particolare perizia e cura del corpo a tholos con quella del mastio del nuraghe Piscu di Suelli. Successivamente vi furono diversi studiosi che si cimentarono nell’interpretazione della struttura ciclopica della Trexenta, tra i quali spiccano  G. Ugas che lo datò al Bronzo Recente per ragioni stilistiche, G. Bacco che lo accostò ad alcuni particolari tipi di nuraghi a tancato come Sa Domu ‘e S’orku di Sarroch 

dopo aver individuato l’esistenza di una probabile torre minore raccordata con la principale, con la quale è in asse, tramite due braccia murarie e, infine, E. Contu che ritenne il monumento un pozzo sacro o una capanna e ipotizzò la presenza dell’atrio quale adattamento tardivo dovuto ad un cambiamento di funzione dello stesso monumento.


Fabrizio e Giovanna 

Notizie tratte da: 

Un *singolare monumento ciclopico della Trexenta: il nuraghe "Su Nuraxi" di Sisini (Senorbì-Ca) / Emanuela Solinas , Elisabetta Frau , Antonio Forci. Fa parte di La civiltà nuragica : nuove acquisizioni 1. : atti del congresso (Senorbì, 14-16 dicembre 2000) , P. 287-299

martedì 12 maggio 2015

AREA ARCHEOLOGICA "SU ROMANZESU" - BITTI - (articolo + video)


Il sito archeologico di “Su Romanzesu” si trova nell’agro di Bitti che si raggiunge percorrendo la superstrada Olbia-Nuoro e imboccando l’uscita per Lula.
Il villaggio nuragico si compone di  numerose capanne, molte delle quali nascoste dal fitto bosco di sughere che caratterizzano l’intera area archeologica, un recinto sacro, due templi a megaron, un tempio definito dagli archeologi Heeron (famoso per il ritrovamento di numerosi reperti in ambra) e, infine, un pozzo sacro con un’area gradonata che racchiude un grande bacino cerimoniale.

Superato l’ingresso si segue il percorso di visita, nel primo tratto del quale è possibile ammirare sulla sinistra una capanna circolare con focolare addossato alla parete,


un recinto sacro il cui sviluppo interno ricorda un labirinto,


una capanna ovale con sedile


e un'altra capanna circolare;


sulla destra sono invece presenti il templi a megaron A e B.

TEMPIO A MEGARON A
TEMPIO A MEGARON B

Proseguendo lungo il sentiero si incontrano, nel lato sinistro, una capanna a settori con vari ambienti e cortile interno,


una capanna con un muro divisorio interno (il che ha fatto ipotizzare agli archeologi un cambiamento di destinazione d’uso dall'originario luogo di riunione)

 
affiancata da una capanna delle riunioni;


nel lato opposto è presente il tempio definito Heeron (C).


Riprendendo percorso si giunge, infine, al tempio a pozzo e alla struttura cerimoniale a gradoni.



Il filmato che condividiamo contiene alcuni particolari relativi al recinto sacro, ai due templi a megaron (A e B) al tempio definito Heeron (C) e al pozzo sacro con l’area gradonata che racchiude il grande bacino cerimoniale.



Fabrizio e Giovanna


venerdì 8 maggio 2015

LA CHIESA DI SAN GEMILIANO A SAMASSI



L’importante centro agricolo di Samassi si incontra percorrendo la piana del Campidano centrale, a circa quaranta chilometri a nord-ovest di Cagliari. L’abitato, di antiche origini, ha restituito tracce di frequentazione a partire dall'età protostorica, con particolare rilevanza per le testimonianze di età punica e altomedioevale. 

Ai margini del centro storico, nella parte più alta del paese denominata Su Cunventu, sorge la chiesa dedicata a San Gemiliano (localmente Santu Millanu) che, seppure molto restaurata e compromessa in alcune sue parti da interventi di restauro e ripristino di diverse epoche, costituisce comunque uno dei più importanti monumenti medioevali della zona. 







Poco nota al grande pubblico e totalmente esclusa dai percorsi turistici, la piccola chiesa romanica mostra più di un motivo di interesse. Come già affermava Vittorio Angius fu, con ogni probabilità, l’antica parrocchiale del paese, per lo meno fino alla costruzione della nuova chiesa di Santa Maria di Monserrato, notevole edificio tardo-gotico impiantato nei decenni finali del XVI secolo.
I riferimenti documentari antichi relativi alla chiesa di San Gemiliano sono scarsi e frammentari, e non contribuiscono in maniera determinante a chiarirne le vicende costruttive: l’attuale veste dell’edificio si data senza difficoltà, per via stilistica e per comparazione formale, alla seconda metà del secolo XIII, epoca in cui si assiste all’avvio di numerosi cantieri romanici in tutta la Sardegna meridionale, e che dunque vide la circolazione pressoché costante di gruppi di maestranze, locali e non, la cui formazione e provenienza sono ancora oggetto di indagine. 

Le caratteristiche stilistiche della decorazione e dell’impaginazione formale e strutturale della chiesa ci rimandano senza dubbio a una norma di stretta osservanza degli stilemi pisani in alcuni dettagli come i portali e l’articolazione dell’intelaiatura strutturale e decorativa dei muri, con la commistione – tipica di numerosissimi cantieri toscani, sardi e corsi – di elementi che, in modo generico, vengono abitualmente definiti “lombardi”. 














Spontaneamente si tende a condurre il ragionamento tenendo conto dei principali edifici in fabbrica nella Sardegna centro-meridionale nel corso del Duecento – ad esempio le nuove cattedrali di Cagliari, Tratalias, Suelli, Dolia – le cui innovazioni da Cagliari e dagli altri principali cantieri si irradiavano nei centri più piccoli, ma per quanto riguarda Samassi, a parte alcuni generici rimandi – peraltro comuni ad altri monumenti – non è agevole avanzare proposte di filiazione diretta. 

Cagliari, duomo, portale del transetto nord
Dolianova, cattedrale di San Pantaleo,
 portale nord della facciata


Da notare comunque che, tra i monumenti citati, il confronto con la cattedrale di Santa Maria a Tratalias è quello che offre i maggiori spunti di riflessione.

Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetti nord e ovest

Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetto ovest

La datazione della chiesa che possiamo vedere oggi non scioglie i dubbi sulle preesistenze che, anche allo stato attuale delle indagini, purtroppo mai condotte con regolarità, sono comunque certe: scavi archeologici condotti nei primi anni ’80 hanno appurato che la chiesa sorge su un’area funeraria di età altomedioevale, con tombe a camera di notevole interesse che  hanno restituito materiali di età vandalica e bizantina.
Una chiesa Sancti Mamiliani de Simassi – che si può, senza troppa difficoltà, identificare con la nostra – è citata in un documento del 1 ottobre 1118 (1119 secondo lo stile pisano) tra le proprietà del potente monastero benedettino di San Mamiliano dell’isola di Montecristo (poi passato ai Camaldolesi nel XIII secolo), che vantava numerose proprietà anche nella vicina Corsica. A parte questa testimonianza, non restano comunque altre tracce documentarie che attestino l’eventuale presenza a Samassi di un monastero benedettino annesso alla chiesa, né sussistono strutture architettoniche riferibili alla chiesa Sancti Mamiliani citata dal documento. 
In attesa di più approfondite indagini archeologiche che chiariscano in modo definitivo la questione, l’unica traccia utile che ci consente di ipotizzare la presenza, nello stesso sito, di una chiesa più antica, è il riutilizzo, nell’edificio duecentesco, di alcuni frammenti marmorei scolpiti e reimpiegati nelle murature romaniche: databili alla seconda metà del X secolo, in epoca mediobizantina, i due frammenti, riconducibili a un perduto arredo marmoreo non meglio precisabile (Roberto Coroneo propose la provenienza da una iconostasi) mostrano una raffinata decorazione con rosette baccellate e una croce potenziata nascente da un grappolo d’uva; il frammento di maggiori dimensioni è reimpiegato, in posizione verticale, sullo stipite sinistro del portale maggiore, l’altro nella stessa posizione nel portale aperto sul fianco settentrionale.


Nella seconda metà del XVI secolo, probabilmente in concomitanza con l’erezione della nuova chiesa parrocchiale, la chiesa di San Gemiliano fu affidata a una comunità agostiniana, che vi edificò un convento rimasto poi in attività fino alle soppressioni di metà ‘800 e di cui oggi non rimane alcuna struttura, in quanto venne interamente demolito per isolare la chiesa e per fare spazio all'attuale casamento scolastico.
Il 18 giugno 1585 è documentata la commissione, da parte del feudatario don Emanuele de Castelvì allo scultore Scipione Aprile, del proprio monumento funebre, da collocarsi nella chiesa  di San Gemiliano, all’interno di un’ampia arcata appositamente realizzata e addossata alla parete settentrionale (ASCA, ANL, vol. 1516, cc. 373v-377 [notaio Gerolamo Orda]): il monumento, ancora oggi custodito integro all’interno, costituisce una delle opere più rappresentative dell’Aprile, che fu tra i principali artisti operanti in Sardegna nei decenni a cavallo tra ‘500 e ‘600. Il sepolcro fu realizzato con certezza nel giro di poco tempo, in quanto il 6 aprile 1588 lo scultore dichiara di essere stato pagato dal Castelvì per la realizzazione dell’opera (ASCA, ANL, vol. 1523, cc. 277v-278 [notaio Gerolamo Orda]), mentre l’iscrizione che la correda riporta: Sipio Apprile opus fecit a 12 de marco a[ño] 1586.

Venendo a una breve descrizione della chiesa, si segnala subito che essa è canonicamente orientata, con abside a est (per la precisione a sud-est) e facciata a occidente. L’edificio è mononavato, con abside semicircolare e copertura lignea su capriate (totalmente di ripristino).

 



La chiesa è interamente edificata in trachite scura delle cave di Serrenti, pietra molto facile da lavorare, ma purtroppo particolarmente sensibile alle sollecitazioni meccaniche e all’azione degli agenti atmosferici, che hanno eroso, in gran parte, i dettagli decorativi e hanno obbligato in alcuni casi i restauratori ad estese opere di sostituzione dei conci danneggiati, anche se si deve lamentare che in molte zone si è intervenuti con eccessiva disinvoltura.

La scansione decorativa dei prospetti dell’edificio è semplice ma estremamente elegante: da un alto basamento a scarpa nascono le larghe paraste angolari e le più strette lesene, che ripartiscono le pareti nord, ovest e sud in tre ampie specchiature per lato, concluse, in alto, da una lunga teoria orizzontale di archetti pensili (in buona parte di ripristino, specie lungo il fianco sud) dal profilo semicircolare, a ghiera semplice o doppia; 


nel prospetto settentrionale alcuni archetti (forse rimontati in posizione diversa dall’originale) mostrano un profilo archiacuto, indizio importante per la datazione dell’edificio al pieno XIII secolo;


la serie orizzontale degli archetti continua ininterrotta anche nel prospetto principale, mentre si interrompe nella testata absidale, dove le archeggiature corrono unicamente lungo il terminale del semicilindro dell’abside e, una per lato, formano due specchiature di ridottissima ampiezza ai lati dell’abside stessa; 




quest’ultima, poi, non presenta partizioni verticali, né la zoccolatura a scarpa che caratterizza il resto dell’edificio, lasciando l’impressione di un dialogo poco armonico con il volume dell’aula e con il resto della decorazione.  




I peducci d’appoggio degli archetti (moltissimi sono di restauro), laddove originali, si mostrano lisci o presentano principalmente una semplice decorazione a foglie dalla cima riversa, tipica del XIII secolo, e pochi altri elementi decorativi difficilmente leggibili; se ne segnala uno, a ridosso della parasta angolare di nord-ovest, con una croce potenziata. 



Tutti i peducci sono in trachite, escluso quello centrale dell’abside, che pare in marmo bianco o in pietra calcarea.



Al centro del prospetto occidentale si erge un campanile a vela a doppia luce, certamente non originario ma di  difficile inquadramento cronologico; si può presumere, comunque, che forse la sua conformazione potrebbe rispecchiare una situazione simile del prospetto ab origine.



Le porzioni superiori delle murature dell’intera chiesa mostrano di essere state rimaneggiate e ricostruite in diversi punti, ma difficile è risalire all’epoca di tali interventi: al di sotto del campanile a vela e tangente ad esso si notano chiaramente le tracce di un’apertura tamponata – probabilmente una bifora – il cui arco doveva originariamente eccedere in altezza l’attuale spiovente del prospetto, segno tangibile del totale rimaneggiamento delle parti alte dell’edificio. Analoga apertura, meglio conservata ma priva della originaria probabile colonnina spartiluce, si apre nella stessa posizione sulla testata orientale, al di sopra dell’abside.




Oltre che dalle suddette aperture, la luce penetra abbondantemente all’interno dell’edificio per mezzo di altre nove monofore a doppio strombo e sguanci lisci: tre si aprono nel semicilindro absidale e le altre sei nei prospetti nord e sud, una per specchio.



































L’accesso alla chiesa avviene tramite due portali dalla foggia molto simile: quello principale aperto al centro della facciata ovest e uno, leggermente più piccolo, aperto al centro dello specchio centrale del fianco nord. 

Portale principale
Portale nord


Abbondantemente restaurato, il portale principale mostra chiari stilemi pisani nell’intelaiatura strutturale, data da larghi piedritti lisci (non monolitici) poggianti su basi modanate e sormontati da interessanti capitelli a decorazione fitomorfa a foglie d’acanto dalla cima riversa e caulicoli, del tutto analoghi ad altri coevi (vedi ad esempio quello custodito nella chiesa cagliaritana di Santa Chiara). I piedritti reggono un architrave liscio in pietra calcarea, su cui scarica un arco semicircolare dotato di sopracciglio nascente da due mensole scolpite con protomi antropomorfe dall’accentuato volume sferico e con occhi a bottone molto rilevati; su tali elementi, di indubbio interesse iconografico, pende però il sospetto di un loro eventuale totale rifacimento in sede di restauro, così come integralmente ripristinati sono il sopracciglio e le adiacenti lesene. 



Cagliari, chiesa di Santa Chiara, capitello erratico

Del tutto analogo – ma conservato decisamente meglio – è il portale settentrionale, la cui decorazione, persi i peducci di imposta del sopracciglio, è data unicamente dalle basi plasticamente modanate dei due piedritti e dagli interessanti capitelli degli stessi, che sfoggiano una ricca decorazione a doppia corona di foglie e caulicoli. Al centro della lunetta si individua un concio calcareo del tutto eroso, forse in origine portante una perduta decorazione.














Si segnala, infine, la presenza di un interessante concio in trachite con decorazione geometrica incisa a bassissimo rilievo, collocato al di sopra della lesena settentrionale della facciata, ma di incerta collocazione cronologica.



L’interno della chiesa, pur molto suggestivo, oltre al notevole citato monumento Castelvì e a due acquasantiere marmoree, non presenta particolari degni di nota; le murature si mostrano nude, prive di intonaco, e sostengono una moderna copertura lignea su capriate, bipartita da un arco diaframma di epoca tarda (XVI secolo?) risparmiato dai restauri. Unico elemento di decorazione architettonica apprezzabile sono i due capitelli-imposta dell’arco absidale, probabilmente anch’essi di restauro.


Nicola S.





BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO:

Sulla chiesa:
- V. Angius, voce “Samassi”, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1849 (ristampa a cura di L. Carta: V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, III, Nuoro 2006, pp. 1341-1343);
- P. Tola, Codex diplomaticus Sardiniae, I, Torino 1861, doc. XXVI, pp. 198-199.
- D. Scano, Storia dell’arte in Sardegna dall’XI al XIV secolo, Cagliari 1907, p. 339;
- R. Delogu, L’Architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953, pp. 190-191;
- G. Zanetti, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari 1974, pp.195-199;
- R. Serra, La Sardegna (collana: Italia romanica), Milano 1989, pp. 356-357;
- R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993, scheda 123;
- R. Coroneo – R. Serra, Sardegna preromanica e romanica, Milano 2004, pp. 291-293.

Sui frammenti mediobizantini:
- R. Coroneo, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro 2000, pp. 236-237;
- R. Coroneo, Arte in Sardegna dal IV alla metà dell’XI secolo, Cagliari 2011, pp. 212; 407; 414-415; 460.

Sul monumento Castelvì:
- V. Angius, voce “Samassi”, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1849 (ristampa a cura di L. Carta: V. Angius, Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento, III, Nuoro 2006, pp. 1341-1343);
- R. Di Tucci, Artisti napoletani del Cinquecento in Sardegna, Napoli [1924], pp. 379-391.
- R. Delogu, “Primi studi sulla storia della scultura del Rinascimento in Sardegna”, in Studi Sardi, XXII, 1941, pp. 11-14;
- R. Salinas, “L’architettura del Rinascimento in Sardegna. I primi esempi”, in Studi Sardi, XIV-XV, parte II, 1958, pp. 356-357;
- M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola. Documenti d’archivio, Cagliari 1987, pp. 43-44;
- R. Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, pp. 80; 165; 168;
- M. G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e del ‘700, Nuoro 1991, pp. 86-89;
- F. Virdis, Artisti e artigiani in Sardegna in età spagnola, Serramanna 2006, pp. 36-40.