Arciconfraternita del Santo Monte della Pietà, I Parte
Come scrive Francesco Alziator ne “La città del Sole”, nei secoli XVI e XVII tutti i cagliaritani appartenevano ad una confraternita.
In un periodo durante il quale non era ancora presente un’entità statale con la volontà di recuperare coloro che violavano le leggi e dare assistenza alle persone più disagiate, queste associazioni risultavano un punto di riferimento valido per dare dignità e recuperare quelle sacche altrimenti lasciate da sole in balia dei loro bisogni.
Già prima della venuta degli Aragonesi sorsero le prime Confraternite e Arciconfraternite a tutela delle Arti e dei Mestieri in qualità di gremi assistenziali per riscattare gli schiavi, per gli ammalati, i poveri e i condannati a morte. Per avere comunque un’attestazione documentaria si dovette aspettare alla prima metà del XV secolo e il maggior sviluppo vi fu in pieno periodo spagnolo (nel XVI e XVII sec.).
Nel quartiere di Castello era presente un’importante Confraternita, quella del Santo Monte di Pietà che, secondo il Canonico Spano, fu istituita tramite Bolla del pontefice Clemente VII verso il 1530; sempre secondo lo Spano fu aggregata nel 1550 all’arciconfraternita di San Giovanni Battista decollato, chiamata anche “della Misericordia di Roma”[1].
Si componeva unicamente di nobili e forniva cibo, medicine ed assistenza medica ai poveri, offriva la dote alle “zitelle povere”, soccorreva i carcerati dotandoli alla scarcerazione di un vestiario decoroso.
Il compito principale dei Confratelli era quello di confortare i condannati a morte, seguendo un preciso rituale che l’Alziator descrive in maniera molto ben dettagliata: una volta resa esecutiva la condanna a morte da parte della Reale Udienza, la suprema magistratura del Regno già dall’epoca spagnola, il condannato, popolarmente chiamato “Su pazienti”, veniva preso in consegna dall’Arciconfraternita del Santo Monte di Pietà 72 ore prima dell’esecuzione (ridotte a 24 nell’Ottocento), lo prelevava dalla Torre di San Pancrazio e lo conduceva alla Cappella del Confortorio, nella Chiesa di Santa Maria del Monte.
Durante l’attesa il condannato passava le ultime sue ore a pregare assieme ad alcuni componenti dell’Arciconfraternita, di fronte al grande crocifisso che ora si trova nella chiesa di Santa Lucia in via Martini, nel frattempo altri confratelli percorrevano le vie di Cagliari chiedendo elemosine a suffragio della sua anima. L’ultimo giorno al condannato veniva servito un ricco pasto, in un servizio d’argento che ancora oggi si conserva intatto, dopo il pasto veniva vestito con una tunica bianca e condotto al patibolo dai Confratelli abbigliati in maniera simile e con cappuccio con solo due fori per gli occhi. Alcune consorelle ed alcuni confratelli durante l’esecuzione si recavano in chiesa a pregare per la salvezza del condannato.
Dopo l’esecuzione, avvenuta tramite impiccagione, si celebrava il funerale seguito da sepoltura in terra consacrata, la corda veniva deposta in un vassoio d’argento che veniva custodito dall’Arciconfraternita fino al 24 giugno successivo, giorno della festa di San Giovanni Battista, quando veniva bruciata davanti alla chiesa di Santa Maria del Monte, affinché non si utilizzasse per riti di magia nera o per la confezione di amuleti.
[1] canonico giovanni spano, “Guida della città di Cagliari”, pp. 92-93
Francesco Alziator afferma invece che sorse nella quaresima del 1554 per opera della predicazione di un carmelitano e che fu aggregata a quella romana nel 1559 dal pontefice Giulio III rifacendosi all’usanza che le confraternite dovessero dipendere da arciconfraternite.
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