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sabato 11 giugno 2016

AREA ARCHEOLOGICA DI NOLZA - MEANA SARDO -




Come si arriva
Da Cagliari percorrere la 131 fino al bivio per Senorbì (ss 128), seguire le indicazioni per Mandas e proseguire per Isili; superato quest’ultimo paese imboccare la sp 52 e seguire le indicazioni per Meana Sardo fino a ricongiungersi alla 128 dove si trovano le indicazioni per il nuraghe.   

L’area archeologica del Nolza dista circa 8 Km dal paese di Meana Sardo, nella regione storica della Barbagia di Belvì ed è situata sul rilievo più alto dell'altopiano scistoso di Su Pranu.



L’aspro territorio, situato ai margini del massiccio del Gennargentu, presenta una morfologia prevalentemente collinare e montuosa che offre notevoli paesaggi e bellezze naturali.



Il nuraghe Nolza è costruito con lo schema del bastione quadrilobato che racchiude una torre centrale alta circa 12-13 metri; attorno alla struttura si estende per circa 2,5 ettari di superficie il villaggio parzialmente scavato che probabilmente costituiva il primitivo nucleo insediativo databile al XVI-XV sec. a.C.

Esaminando il monumento sono leggibili diverse fasi strutturali: due delle quattro torri del bastione e le cortine murarie poste a nord ed a est, furono edificate in blocchi di scisto,



per le rimanenti torri e le cortine che le collegano furono invece utilizzati blocchi di porfido.



L’analisi del crollo circostante ha messo in evidenza diversi elementi tra i quali si annoverano numerosi mensoloni e blocchi in trachite perfettamente lavorati,  ascrivibili verosimilmente alle strutture alte del nuraghe.


                                
                                                                                                                         


Tra il mastio e la cortina posta a nord lo scavo ha messo in evidenza un particolare ambiente che consiste in un piccolo vano, ormai privo della sua originaria copertura a tholos,  pavimentato con un vespaio di lastre e argilla battuta concotta che al suo interno presenta un focolare costruito con lastre di trachite di riutilizzo e un bancone.
In epoca più tarda rispetto all'edificazione del complesso furono realizzate alcune modifiche tra le quali si evidenziano la riedificazione in blocchi di porfido delle torri e delle cortine del settore sud e ovest, l’apertura di un nuovo ingresso nella cortina posta a ovest e gli evidenti restauri nella torre centrale.




Il nuovo ingresso immette in un vano attraverso il quale è possibile visitare la torre posta a sud-ovest e, tramite una scala, un cortiletto sopraelevato con pavimento di scisto e argilla concotta; 






dal cortiletto sopraelevato si accede al primo piano della torre centrale voltata a tholos, 





attraverso una stretta scala quasi verticale, era possibile arrivare alla sottostante torre sud-est.




Fabrizio e Giovanna

sabato 4 giugno 2016

L’ORGANUM DIRECTORIUM DI MERCATORE ALLA LUCE DEGLI STUDI DI ROLANDO BERRETTA

Riportiamo con piacere l’ultimo studio di Rolando Berretta in italiano, spagnolo e inglese.

Per terminare e per dimostrare chi è, veramente, Gerardo Mercatore mi metto a dare un po’ di numeri.   Per  la mia modifica dell’Organum Directorium ho utilizzato settori di meridiano da 9 gradi ( Su suggerimento di Toscanelli e Marino di Tiro).
Ho preso le coordinate riportate dalla wikipedia con le parole chiave: - Mercator 1569 world map -
Recita il pezzo: To illustrate his method take A at (20°N,33°E) and B at (65°N,75°E).
Dimenticavo di ricordare che il pezzo è in inglese; c’è anche il latino di Mercatore.
Con quelle coordinate sono partito dal meridiano 0 che passa sulle isole di Capo Verde. Al centro dello schema ho trovato il meridiano di Alessandria. Prima strana coincidenza.

Para terminar y para demostrar la importancia de Gerardo Mercator, os doy algunos numeros.
Con mi modificación al “organum directorium” he utilizado sectores de meridiano de 9 grados.
( por sugerencia de Toscanelli y Marino de Tiro)
Tomé las coordenadas indicadas en wikipedia con las palabras clave: Mercator 1569 world map.
Asì dice el  artículo: To illustrate his method take A at (20°N,33°E) and B at (65°N,75°E). Olvidaba decir que el  artículo es en Inglés pero hay también la versión en latín de Mercator.
Con esas coordenadas empecé a partir del meridiano 0 que pasa por las islas de Capo Verde. En el centro del esquema encontré el meridiano  de Alexandría. Primera rara coincidencia.

To conclude and in order to demonstrate how Gerardo Mercatore important is, I give you some number. In my modification on the Organum Directorium I used 9 degrees meridian sectors (on Toscanelli and Marino di Tiro’s advice).
I took the coordinates from Wikipedia searching with the key words: Mercator 1569 world map.
The paragraph say “To illustrate his method take A at (20°N,33°E) and B at (65°N,75°E).” It’s in English but there is the Mercatore Latin version as well.
I started with those coordinates from meridian 0 passing on top of Capo Verde Islands and I found the Alexandria meridian in the middle of the diagram. First strange coincidence.



Ho segnato i punti A e B e ho tracciato la retta, che li attraversa, giù fino all’Equatore.
Ho calcolato la differenza di latitudine tra i due punti A e B proiettati (45°).   65° nord / 20° nord.
Ho segnato questi 45° sulla linea dell’Equatore. Ho tracciato la perpendicolare che mi ha permesso di trovare il punto X. Ho preso la distanza tra A e X e l’ho portata sull’Equatore; con inizio dal meridiano 0.   Sono 54 gradi di Equatore.  A questo punto ho notato che:
Il punto X è evidenziato, già, dalla Diagonale azzurra.

Marqué los puntos A y B y tracé la recta que pasaba por esos puntos hasta el ecuador.
Calculé la diferencia de latitudine entre los dos puntos A y B proyectados (45°). 65° norte / 20° norte. Marqué estos 45° sobre la linea del ecuador. Tracé la perpendicular que me permitió encontrar el punto X. Tomé la distancia entre A y X y la repetí en el Ecuador empezando por el meridiano 0: son 54 grados de Ecuador. Aquí me enteré de que el punto X es evidenciado, ya por la diagonal azul.

I marked points A and B and I traced a straight line down, till the equator.
I calculated the latitude difference between projected A and B (45°). 65° north / 20° north.
I marked these 45° on the Equator line and I traced the orthogonal line that allowed me to find point X. I took the distance between A and X and I repeated it on the Equator line, starting from meridian 0. They are 54 degrees of Equator. At this point I noticed that point X is hightlighted from Blue Diagonal.

Altra cosa notevole: io imposto un quadrato con 108 gradi all’Equatore (12 settori da 9 gradi)
e  mi ritrovo con la distanza tra A e X di 54 gradi precisi; la metà esatta.
Troppe coincidenze. Questo è uno schema didattico. E’ tutto da studiare. Non so chi l’ha lasciato.
Immagino, però, come è finito nella tipografia di Mercatore.  Mercatore l’ha studiato ma, non credo, che ci abbia capito molto. Però ci ha tenuto a farci sapere che è farina del suo sacco.

Otro detalle relevante: yo asiento un cuadrado con 108 grados al ecuador (12 sectores de 9 grados) y al final me hallo con la distancia entre A y X de 54 grados, exactamente la mitad.
Demasiadas coincidencias. Este es un esquema didactico, es todo para estudiar. No sé quién lo dejó pero imagino como acabó en la tipografía de Mercator. Él lo estudió per no creo que lo haya entendido muy bien. Solo quiso que sepamos que era una idea de su cosecha.

Other remarkable detail: I set up a square with 108 degrees at Equatore (12 sectors of 9°) and I found out a distance between A and X of 54°: exactly the halfway point.
Too many coincidences. This is a didactic diagram and it is to be studied. I don’t know who left it but I can imagine how it arrived to the Mercatore typography.
Mercatore studied it but I think he didn’t understand it very well. But he considered important to let us know that it was entirely his idea.


Questo è l’Organum Directorium di Mercatore

Este es el Organum Directorium de Mercator

This is Mercatore’s Organum Directorium





E questo è il mio; corretto.

Y este es el mío.

And this is mine. Correct.




Rolando Berretta

mercoledì 25 maggio 2016

NURAGHE ASUSA DI ISILI



Il nuraghe Asusa di Isili, facilmente raggiungibile perché situato all’interno di un parco, negli ultimi anni è stato interessato da tre campagne di scavo i cui risultati sono stati presentati dal prof. Giovanni Ugas e dall’archeologa Alessandra Saba durante un convegno svoltosi a Isili.

Il monumento si affaccia su un altopiano in cui è documentata una grande concentrazione di emergenze nuragiche; attorno ad esso è stato individuato un villaggio che mostra varie sovrapposizioni ascrivibili ad un periodo compreso tra il 1600 a.C. e il 1150 a.C.

Ambienti esterni

Ambienti esterni


Il nuraghe, realizzato in blocchi ben squadrati di marna locale, risale al 1300 a.C. circa e presenta la classica forma a tancato con un cortile delimitato da due torri; purtroppo i crolli non permettono una fedele interpretazione circa il suo sviluppo in elevato, però i resti conservati permettono una facile lettura della pianta.

Cortile


In base agli elementi visibili possiamo notare che il cortile, il cui ingresso è orientato ad est, presenta al suo interno due nicchie simmetriche e conserva una parte del paramento del piccolo andito attraverso il quale si accedeva.

Ingresso principale dall'esterno 
Ingresso principale dall'interno


Nicchie e andito


Della torre principale è possibile invece osservare una parte del paramento interno, due nicchie speculari e una scala monumentale dalla quale si accede al cortile.

Nicchie e scala



La torre secondaria, accessibile dal cortile, è molto diroccata e conserva soltanto la parte basale del paramento interno.

Paramento interno e andito di accesso al cortile


Fabrizio e Giovanna

giovedì 28 aprile 2016

28 APRILE 1794 - SA DIE DE SA SARDIGNA




Come anticipato nel precedente articolo LA RESISTENZA DEI SARDI ALLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA,  la  grossa disparità tra sardi e piemontesi nell’assegnazione dei premi per la resistenza alla Francia rivoluzionaria fu il fattore scatenante delle rivendicazioni che culminarono con la cacciata dei piemontesi.
I tre Stamenti dopo una lunga e animata discussione formularono le famose cinque domande che una delegazione presentò alla commissione torinese:
  1. riunire nuovamente i Parlamenti ogni dieci anni,
  2. riconfermare tutti gli antichi privilegi,
  3. riservare esclusivamente a persone indigene tutti gli impieghi civili e militari medio - bassi,
  4. creare a Torino uno speciale ministero per le questioni dell’Isola,
  5. istituire a Cagliari un Consiglio di Stato per il controllo di legittimità anche nei confronti dell’operato dei vicerè.

La delegazione non fu mai ricevuta dalla commissione incaricata dal sovrano di prendere in esame la questione e la risposta alla petizione arrivò direttamente al viceré.
L’esasperazione per l’indifferenza del sovrano e per l’atteggiamento negativo e provocatorio del vicerè Balbiano si accentuò ancor di più a causa delle beffe che i funzionari piemontesi si facevano dei sardi.
 A Cagliari si respirava aria di congiura: si avvicinava la festa di Sant’Efisio, ottima occasione per una rivolta di massa, ma il viceré lo seppe per tempo e organizzò una controffensiva.
Riportiamo la testimonianza fornitaci da alcuni testimoni che al tempo assistettero agli eventi:
Il 28 aprile 1794 i soldati del reggimento svizzero Schmith presero posizione e
verso mezzogiorno furono rinforzati i corpi di guardia a tutte le porte, tanto del Castello, come della Marina.
Verso le tredici una compagnia di granatieri dello stesso reggimento scese dalla Porta Reale, dirigendosi verso Stampace.


Gran parte dei granatieri si dispose in cerchio attorno all'abitazione dell’avvocato Vincenzo Cabras per notificargli un ordine di arresto che si estese al genero del Cabras, Efisio Pintor, anche lui avvocato.
Essi dovevano essere arrestati perché considerati pericolosi rivoluzionari.
I prigionieri furono rinchiusi nella torre di San Pancrazio e i granatieri si barricarono all’interno del quartiere di Castello che subì ben presto l’assalto del popolo. 



I familiari degli arrestati corsero per il popoloso quartiere di Stampace, chiamando a raccolta quanta più gente potevano.
Il viceré mostrò dall'alto del bastione i due prigionieri al popolo, per smentire la notizia della loro uccisione, ma le campane di Stampace avevano suonato all'unisono con quelle della Marina e di Villanova scatenando la pronta reazione degli abitanti dei due sobborghi. 




Una parte corse alla porta di Villanova, un’altra a quella di Gesù, altri verso la Darsena e il Molo.
La folla, superata la resistenza dei soldati, aprì le porte che tenevano divisi i sobborghi tra loro e si diresse compatta verso la porta di Castello.



Mentre quest’ultima bruciava, lunghe scale furono appoggiate alle muraglie dov'erano alloggiati i cannoni e in breve tempo il quartiere fu invaso.
Il viceré trovò scampo nel palazzo arcivescovile e i soldati si arresero al popolo.



Lo scontro fu di breve durata e in poco tempo fu conquistato il palazzo viceregio e tutta la città si trovò nelle mani degli insorti.
Il 30 aprile il viceré Balbiano salì sulla nave veneziana diretta in Italia  che salpò il 7 Maggio 1794.
Il popolo acclamò viceré il marchese di Laconi, prima voce dello Stamento militare, ma il potere, secondo gli usi del Regno, fu trasferito alla Reale Udienza.

L’esempio fu presto seguito dalle altre città sarde.


Fabrizio e Giovanna

sabato 23 aprile 2016

LA RESISTENZA DEI SARDI ALLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA




Il re Vittorio Amedeo III (1773-1796), succeduto al padre Carlo Emanuele III, manifestò subito la sua dedizione alle armi; congedato il Bogino e gli altri ministri del regno, provvide infatti a spendere denaro in fortificazioni e  divise militari.

Nel frattempo l’ondata rivoluzionaria della Francia si fece sentire in tutta Europa e il re, dopo aver tentato di guidare un lega italiana antirivoluzionaria, respinse nel 1792 la richiesta francese di un’alleanza per condurre la guerra contro l’Austria.

Il motivo di tale rifiuto fu determinato dalla politica retrograda di Vittorio Amedeo III  che fece della città di Torino il rifugio degli aristocratici fuoriusciti e il centro di intrighi con l’Austria e con la Prussia per l’organizzazione di una crociata antifrancese.
A quel punto la guerra divenne inevitabile e, fra il novembre 1792 e il gennaio 1793, furono annesse alla Francia Nizza e Savoia.

Le attenzioni degli antirivoluzionari furono rivolte essenzialmente all'organizzazione dell’attacco alla Francia, meno ad approntare una difesa adeguata agli attacchi che ben presto dovettero subire; uno di questi fu indirizzato proprio alla Sardegna, che veniva considerata una facile conquista grazie al malcontento degli abitanti contro il governo piemontese e, il 21 dicembre del 1792, una grossa squadra navale francese comparve davanti alla città di Cagliari.


Nel mese di gennaio del 1793 la nobiltà, il clero e i mercanti sardi, preoccupati per il tentennamento del viceré Balbiano, decisero di prendere in mano la situazione e organizzarono e finanziarono la resistenza.
I Francesi nel frattempo presero Carloforte, ribattezzandola l’isola della Libertà, sbarcarono a S. Antioco e il 14 febbraio, dopo essere sbarcati al Margine Rosso, iniziarono a bombardare la città di Cagliari. 

Dopo tre giorni, un forte vento investì il golfo sbattendo sul litorale di Quartu le navi francesi che sospesero i bombardamenti per i danni subiti e il 20 lasciarono il golfo di Cagliari.
L’unico presidio francese presente nel meridione dell’isola rimase a Carloforte e a Sant'Antioco.
Il 24 febbraio Napoleone Bonaparte bombardò La Maddalena con l’obiettivo di prendere la guarnigione per poi  trasferirsi a Palau ed occupare la Sardegna settentrionale, ma fallì miseramente per l’ammutinamento della corvetta francese d’appoggio.
Il 25 maggio, in seguito all'attacco delle navi alleate spagnole, si arrese anche l’isola di San Pietro.

Vincenzo Sulis nella sua Autobiografia riporta un episodio curioso avvenuto in prossimità della Torre dei Segnali dove fu sistemata una batteria che controllava il tratto di costa tra Cala Mosca, Sant'Elia e tutta l’attuale spiaggia del Poetto. 



La torre, fu infatti bersagliata incessantemente, durante tutta la permanenza della flotta francese nel golfo di Cagliari, ma il nemico colpì sempre nello stesso punto, cioè sul basamento di roccia viva, lasciando il piccolo fortino illeso.

Dopo la ritirata dei francesi il sovrano si dichiarò disponibile a premiare i più meritevoli, ma vi fu una grossa disparità tra piemontesi e sardi; tale disparità fu la causa scatenante delle rivendicazioni sfociate in quella che passò alla storia come Sa die de sa Sardigna di cui parleremo a breve.

Fabrizio e Giovanna

lunedì 18 aprile 2016

Il ponte romano di Decimomannu



Decimomannu dista pochi chilometri da Cagliari e il suo territorio, fin dall’età punica, è sempre stato un punto di incontro dei traffici commerciali che rifornivano il capoluogo dei prodotti dell’entroterra. Il nome stesso ad Decimum lapidem, riconducibile all'epoca romana, ricorda il suo ruolo di importante nodo stradale, in esso infatti si incrociavano tre importanti strade che collegavano l’antica Karales a Sulci (Sant’Antioco), a Othoca (S. Giusta) e a Turris Libisonis (Porto Torres). Della prima strada si ritrovano le tracce sulla riva sinistra del Fluminimannu nelle rovine di un ponte  del quale rimangono tre arcate.



I trasporti avvenivano anche per via fluviale tramite il medesimo fiume, come testimoniano i ritrovamenti di anfore puniche contenenti analoghe carni ovine e bovine macellate, sia nello stagno di Santa Gilla, sia presso il corso del rio Mannu, un affluente del Fluminimannu, nell’agro di Senorbì, dove era presente un insediamento indigeno dedito a tale commercio.
Tra le merci che attraversavano i corsi fluviali si annoverano, oltre alle derrate alimentari, anche quelle destinate alle attività minerarie, alla carpenteria, all’arredamento e all’artigianato, come testimoniano le fonti letterarie e i ritrovamenti archeologici. Tra le citazioni letterarie ricordiamo Tito Livio, il quale riferisce che durante la seconda guerra punica la flotta romana passò l’inverno a Karales, per far riparare le imbarcazioni danneggiate durante una tempesta.[1]

Molto probabilmente la stazione di posta di Decimomannu  doveva avere anche una funzione di raccordo per gli spostamenti con imbarcazioni di vario tipo. Il Fluminimannu aveva una portata tale da poter contenere anche grosse imbarcazioni.


















Durante il medioevo, in caso di operazioni militari, per evitare le opere di difesa presenti sulla costa, l’unico modo per avvicinarsi con intenti bellicosi al capoluogo era quello via terra e questo era possibile risalendo la sponda occidentale dello stagno di Santa Gilla, percorrendo la via terrestre da sud-ovest e giungendo al ponte di Decimomannu per ripiegare senza destare sospetti a meridione verso Cagliari.[2]

Nell'estate del 1409 Fluminimannu, eccezionalmente in piena per quella stagione, fu risalito dalle truppe aragonesi comandate del re di Sicilia Martino il Giovane dirette alla conquista del castello di Sanluri.

Di questo ponte abbiamo una descrizione molto dettagliata nell'opera dell’ Angius: “Su questo (il fiume Carali) è un ponte molto nobile per i suoi tredici archi; opera quadrata, però barbara che accusa un’altra antichità, e pare costruzione di materiali di edifizii d’altro genere. La lunghezza è di metri circa 160, che però per la continuazione dé  parapetti, e lo protendi mento delle due estremità, pare disteso ad altri m 360. Dalla incuria e negligenza a ripararlo esso già patisce e non poco in alcune parti, e temesi sarà fra non molto fuori uso con lungo impedimento al commercio, e pericolo della vita di coloro, cui alcuna necessità spinga a passare da una in altra sponda. Siccome di esse tredici foci dieci sono ostrutte; però quando per le grandi piogge cresca il volume dell’acque, e sia la piena più che possa smaltire il libero sfogo, esse si sollevano, si reversano dall’una all’altra parte, e cagionano inondazioni di gran nocumento ai seminati”; p. 18: “Reliquie riferibili al medio evo [] dobbiam riconoscere di quei tempi il ponte dé tredici archi, che per quella età era certamente magnifico” [3]

Oltre al padre scolopio Vittorio Angius, anche altri studiosi dell’antichità, come Giovanni Francesco Fara[4], il canonico Giovanni Spano[5] e A. Della Marmora[6] hanno lasciato testimonianze ricche di ammirazione per questo raffinato manufatto.







Negli anni 1995-96 e 1999-2000 l’amministrazione comunale di Decimomannu realizzò, con il finanziamento della Regione Autonoma della Sardegna, i primi interventi di restauro e scavo archeologico nel ponte romano sul rio Fluminimannu.
In quell’occasione, oltre all'esecuzione dei lavori di restauro, vennero studiate le tecniche costruttive del ponte, di cui rimanevano ancora in piedi le prime tre arcate. 

















I confronti con i ponti di Porto Torres, Santa Giusta, Allai ed Alghero-Fertilia, insieme allo studio dei blocchi in calcare locale che si presentano perfettamente squadrati e combacianti tra loro nelle volte, permisero di datare il monumento all’inizio dell’Impero romano (fine I sec. a. C. - inizio I sec. d.C.).
















Durante i restauri fu possibile far riemergere circa 50 metri di strada romana realizzata con ciottoli fluviali della quale oggi si intuisce la presenza a causa dello stato di abbandono in cui riversa l’intera area.
La strada è delimitata da lunghi tratti di muro realizzato con grossi blocchi calcarei squadrati che aveva la funzione di proteggerla da eventuali inondazioni.





Attualmente molte parti del sito archeologico sono occultate dalla vegetazione e dall'incuria, però è possibile rintracciare alcune parti di esso grazie all’interpretazione fornitaci dall’archeologo Fabrizio Fanari delle varie parti emerse durante gli scavi.[7]

Sopra il ponte è presente un blocco in pietra calcarea che presenta due lettere latine su entrambi i lati, piuttosto corrose, delle quali è difficile dare un’interpretazione, l’archeologo Fanari giustamente esclude che sia una pietra miliare e ritiene che, vista la topografia del luogo, potrebbe essere un cippo di confine tra due territori. 





Fabrizio e Giovanna




[1] Liv. XXX 39,3
[2] Nel febbraio 1324 una flotta di 50 navi pisane guidata da Manfredo Donoratico “locum s.tae Mariae Magdalenae petens, equites et pedites omnes, qui partim Germani, partim Itali erant, in terram exposuit et Decimi oppidum, Calarim versus, petit”: L.F. Farae, De rebus Sardois III, 32, 15-21
[3] V. Angius, s.v. «Decimomannu», in G. Casalis, Dizionario geografico, storico statistico commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna, VI, p.17
[4] Ioannis Francisci Farae, Opera, I, in Sardiniae Chorographiam, passi 132.35: “Flumen Calaris [] pontem maximum 13 fornicum, inter Decimum Magnum et Decimum Putzum transgreditur ac iuxta Villam Speciosam et Utam incedit in stagnumque maximum Calaris, non procul ab oppido Seminis, sese exonerat”, e i passi 210.5 “civitas Valeria a Tolemaeo dicta, quam non procul a Decimo fuisse docent monumenta quae ibi supersunt et antiqueae structurae aedes divo Nicolao sacrae ponsque maximus terdecim fornicibus connexus fulcitusque ”
[5] G. Spano, «bolli figulini di decimo», in Bullettino Archeologico Sardo 5, VIII:  “Sebbene vi siano rimasti pochi monumenti dell’antica grandezza romana, salvo il meraviglioso ponte di nove foci, della stessa solidità di quello di Torres, pure delle scoperte che succedono per caso, allorché i contadini lavorano la terra, è d’uopo riferire che fosse una popolazione molto agiata
[6] A. Della Marmora, Itinerario dell’Isola di Sardegna, Tradotto e Compendiato dal Can. Spano, p. 174, nota 3: “In Decimo … vi è da vedere il ponte romano di molte foci quasi intiero”
[7] Fabrizio Fanari, Decimomannu e il suo ponte romano: un importante nodo stradale della Sardegna antica, Fa parte di Per una riscoperta della storia locale: la comunità di Decimomannu nella storia