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martedì 26 gennaio 2016

IL RIFORMISMO SETTECENTESCO IN SARDEGNA


Nel precedente post LA SARDEGNA E LE FORTIFICAZIONI CAGLIARITANE NELLA PRIMA METÀ DEL 1700  abbiamo affrontato il tema riguardante il primo periodo di governo piemontese, le sue azioni volte a dare una soluzione di continuità al fine di non entrare in contrasto con la realtà isolana e i tentativi di ripopolamento attuati dal Rivarolo per combattere l’arretratezza economica e le attività criminali.


Nei primi 50’anni di governo piemontese mancò un’organica visione delle necessità dei sardi e degli interventi necessari a risanare i settori produttivi; la situazione era resa ancora più critica dalla mancanza di una classe dirigente indipendente dai feudatari e dagli ecclesiastici che detenevano la maggior parte dei territori.

Tra il 1755 e il 1758, furono convocate numerose giunte per decidere le misure da adottare per risanare la difficile situazione in cui si trovava la Sardegna, a tal fine si esaminarono, discussero e rielaborarono tutte le informazioni disponibili e i piani fino ad allora ideati per il suo rifiorimento.

Ai congressi prese parte il conte Bogino, partecipante in qualità di responsabile della Segreteria di Guerra che dal 1720 gestiva il controllo delle aziende e degli approvvigionamenti militari. A differenza dei precedenti governanti, il Bogino attese al suo impegno con un interessamento, una energia e un dinamismo del tutto nuovi rispetto al passato. Mentre fino ad allora i tentativi per migliorare la vita economica sarda erano stati tutti di intervento esterno, come la colonizzazione di zone disabitate e la spinta all’impianto di manifatture, generalmente da parte di stranieri, egli si occupò di potenziare e migliorare le risorse esistenti come le miniere e l’agricoltura.

Dal 1758 si inaugurò così il periodo boginiano la cui azione si fece sentire in tutti i settori fino al 1773, quando fu licenziato dal nuovo re Vittorio Amedeo II.

Nel 1759 il re Carlo Emanuele III affidò al conte Bogino la direzione unica di tutti gli affari riguardanti la Sardegna esautorando il vicerè.

Il corpus di regolamenti, istruzioni e relazioni elaborati dal Bogino diventarono il punto di riferimento per tutti gli interventi futuri. La sua attività impersonava la nuova tendenza politica accentratrice dell’età delle riforme, che, presentandosi come una prosecuzione di quanto era in vigore nel passato, cercava nella tradizione la propria legittimazione. La filosofia ispiratrice della politica delle riforme era quella di attuare una innovazione che amava presentarsi come prosecuzione di quanto era precedentemente in vigore e che nel passato cercava la propria origine e legittimazione.

Bogino concentrò nelle sue mani la direzione della vita politica, religiosa, giudiziaria ed economica dell’Isola, seguì personalmente tutti i problemi ed esercitò un ferreo controllo sull’operato di coloro i quali erano preposti ad applicare le sue direttive. I progetti che il ministro tentò di realizzare per promuovere il “rifiorimento” dell’economia isolana non ebbero l’organicità che caratterizzava i suoi interventi in campo amministrativo e culturale e non sempre conseguirono gli effetti sperati. Nelle intenzioni del sovrano e dello stesso ministro l’obiettivo principale era quello dello sviluppo economico della Sardegna dal quale poteva scaturire l’aumento della “felicità” del regno. 

Avvalendosi della corrispondenza con l’intendente generale e delle relazioni dei vari funzionari, il Bogino elaborò piani per la rinascita economica dell’Isola, ma la sua azione riformatrice fu episodica e frammentaria, rivolta più a salvaguardare gli interessi dello stato patrimoniale che a promuovere il progressivo benessere delle popolazioni.
Egli non affrontò i due problemi di fondo della società sarda, la presenza e la persistenza dell’anacronistico regime feudale, con tutti gli abusi, i privilegi e i gravami che esso comportava e la comunione delle terre, ancora godute collettivamente in un sistema arcaico che metteva in perenne contrasto pastori e contadini. Non operò nel campo delle infrastrutture, non provvide cioè a creare una rete stradale che favorisse il commercio interno e creasse sbocchi verso approdi costieri, e neppure orientò i Sardi verso il mare con iniziative che portassero alla formazione di una marineria mercantile nazionale, condizione necessaria per far uscire la popolazione dall’ isolamento.

Un altro settore non sufficientemente curato dai riformatori piemontesi fu quello delle manifatture e delle industrie, che costituiva un terreno ancora vergine dove molto poteva essere fatto: basti pensare alle notevoli risorse minerarie suscettibili di intenso sfruttamento. Vero è che numerosi imprenditori privati si proposero di impiantare nell’Isola cartiere, saponifici, vetrerie, fabbriche tintorie, ecc., ma i vari tentativi, quando uscirono dallo stato di semplice progetto, fallirono tutti. La ragione più profonda di tali insuccessi va ravvisata anche nel difetto di preparazione tecnica, da porsi in relazione all’arretratezza culturale della classe dirigente sia piemontese che sarda.

Nonostante tutto, qualche risultato fu raggiunto nel campo della cultura, un primo provvedimento nel campo dell’istruzione superiore si ebbe nel 1759, durante il viceregno del conte Tana, quando venne istituita a Cagliari una scuola di chirurgia affidata al professore piemontese Michele Plazza che, essendo anche studioso di scienze naturali, si occupò pure di geologia e mineralogia.

I successi maggiori furono registrati nel riordinamento degli studi universitari. Nel 1764 avvenne la rifondazione dell’Università di Cagliari e nel 1765 quella di Sassari; per entrambe le università le facoltà erano quattro: teologia, leggi, medicina e filosofia, più tardi si aggiunse quella di chirurgia.
Il palazzo dell’Università di Cagliari fu costruito sotto la direzione dell'ingegnere militare piemontese Saverio Belgrano di Famolasco, che, dal 1761 al 1769, realizzò in Sardegna opere di fortificazione ed edifici sia pubblici che privati.





Altri provvedimenti nel campo dell’istruzione e della cultura riguardano la creazione dell’Archivio di Stato di Cagliari nel 1763 e la fondazione, sempre a Cagliari, della Stamperia Reale per la pubblicazione degli atti governativi, di libri scolastici e di divulgazione agraria.

Nel settore dell’economia l’attività riformatrice sabauda si snodò verso due indirizzi, uno teorico facente capo al libro del padre gesuita Francesco Gemelli, Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento della sua agricoltura, e l’altro pragmatico che ebbe il suo esponente più rappresentativo nell’economista cagliaritano Giuseppe Cossu. Il primo indirizzo era conforme alle vedute e agli orientamenti della dominante dirigenza subalpina, mentre il secondo rappresentava una posizione più autonoma, ma pur sempre subalterna, di un esiguo gruppo di funzionari locali.

Il libro del gesuita  peccava di eccessiva astrattezza e mal si adattava ad essere assunto come programma di riforme; pretendeva, infatti, che quei principi validi nella quasi generalità dei casi, potessero essere applicati anche all’economia sarda che il suo autore non conosceva a fondo. I rimedi da lui proposti, come ad esempio l’abolizione della comunanza delle terre, la costruzione di fattorie, l’impianto di prati artificiali ecc., erano fuori dalla realtà isolana perché indicavano soluzioni in evidente contrasto con l’ordinamento feudale vigente, con gli indirizzi fiscali della politica economica piemontese e con la cultura e la storia locali.

Colui che invece può essere considerato il primo economista sardo dei tempi moderni e precursore della «rinascita» è il dott. Giuseppe Cossu, storiografo, alto funzionario e scrittore di materie economiche, che dimostrò di possedere una visione ampia e sicura delle condizioni storiche e ambientali della Sardegna, di conoscere le reali esigenze e di saper indicare i mezzi e i modi del suo effettivo rinnovamento nella continuità con il passato, senza stravolgere con soluzioni rivoluzionarie gli equilibri esistenti. Egli, in tempi di generale decadimento economico e sociale, seppe tracciare le vie maestre per evitare le funeste conseguenze di una generale depressione e, insieme, indicare gli accorgimenti pratici per adeguare le riforme governative alle condizioni e possibilità dell’ambiente naturale ed umano.

In conclusione si evidenzia che quel poco che era stato possibile ottenere dall’azione riformatrice fu merito degli sforzi di uomini come il Cossu, che vedevano una soluzione valida nel collegare la realtà delle usanze comunitarie alle strutture geo-morfologiche ed economiche con l’ausilio delle nuove possibilità tecniche.



Fabrizio e Giovanna





Riferimenti bibliografici:

 

giovanni murgia, La società rurale nella sardegna sabauda (1720-1847)
luigi bulferetti, Le riforme nel campo agricolo nel periodo sabaudo   
lucetta scaraffia, La sardegna sabauda
carlino sole, La Sardegna Sabauda nel  Settecento
Francesco Gemelli, Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento della sua agricoltura
cossu Giuseppe, Descrizione geografica della Sardegna, a cura di Isabella Zedda Macciò

girolamo sotgiu, L’età dei Savoia, in “La Sardegna. Enciclopedia”, vol. I

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