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martedì 2 agosto 2011

ARCHEOLOGIA: Il culto della Dea Madre - I parte



Dea Madre steatopigia



In alcuni post precedenti abbiamo parlato del MEGALITISMO definendolo un linguaggio architettonico neolitico, comune a molti popoli stanziati in aree geografiche notevolmente distanti fra loro. 
Esiste un altro filo conduttore che unisce i popoli neolitici che, con varie caratteristiche, è ancora fortemente presente nel sentimento religioso dell’uomo contemporaneo, ossia il culto della Dea Madre.
Come nel caso del Megalitismo, anche per quando riguarda il culto della Dea la Sardegna, nonostante per moltissimo tempo sia stata considerata estranea allo sviluppo culturale extrainsulare, è perfettamente allineata con il resto del mondo.
Le bellissime statuine Sarde trovano corrispondenze stilistiche ed ideologiche nelle Cicladi, a Sparta (la Sparta neolitica, non quella di epoca classica), a Malta, in Anatolia e nella penisola balcanica.
Il culto della Grande Dea è legato all’opulenta cultura agricola del neolitico, quella che da molti studiosi è considerata l’età dell’oro, come dimostrano le statuette cosiddette “steatopigie” (grasse) che rappresentano la divinità femminile nel suo ruolo di nutrice e portatrice di fertilità.
La Dea viene  immaginata nella sua carnalità, come nella famosa Venere di Cuccuru s’Arriu, i suoi attributi sessuali sono enfatizzati con la rappresentazione dei grossi seni e degli abbondanti glutei; quindi è una divinità fortemente legata alla sfera terrena.
L’artista ha però voluto esprime anche il concetto che la carnalità della Dea è solo apparente, è un fenomeno che coinvolge solo una parte di essa (quello legato alla produzione agricola e alla sfera sessuale umana), infatti le sue forme così generose e terrene, contrastano con l’espressione quasi ascetica del volto leggermente sollevato, con lo sguardo rivolto verso l’altrove, a significare che le sue radici sono da ricercarsi nel mondo spirituale.
I nostri progenitori vedevano nella donna un essere superiore e padrone della vita, la gravidanza era un miracolo inspiegabile dal quale l’uomo era escluso.
Anche le fasi della gravidanza, con la crescita graduale del ventre della donna, che dopo aver messo alla luce una nuova vita torna alle sue forme di fanciulla, sono state associate alle fasi lunari e ai tempi del raccolto.
In molte culture la Dea era considerata nella  triplice forma di fanciulla, matura e vecchia, con chiaro riferimento alle fasi lunari e della gravidanza.
Anche la corrispondenza tra il ciclo mestruale, che avviene ogni 28 giorni, ed il mese lunare ha contribuito a legare indissolubilmente l’elemento femminile al nostro bellissimo satellite.
La Dea era padrona della vita ma anche della morte, era generosa con chi rispettava i precetti del culto e spietata con chi li contravveniva.
Chi mostrava crudeltà nei confronti delle creature più deboli, cadeva sotto la sua maledizione, conosciuta nei secoli successivi col nome di “maledizione di Iside”.
Era signora della morte anche in qualità di accompagnatrice e protettrice del defunto nell’aldilà, l’inumato nel sepolcro di Cuccuru s’Arriu teneva stretto in mano l’idoletto rappresentante la Dea Madre, nella speranza che essa lo guidasse verso una nuova rinascita nel mondo ultraterreno.
I defunti venivano posti in posizione fetale e cosparsi di ocra rossa, il colore della vita e del sangue che ricopre il neonato al momento del parto, esso era accolto nel grembo della Terra Madre ed era pronto a rinascere ad una nuova vita.
La concezione dell’aldilà di questi antichi uomini, ci fa capire quanto sia sbagliata la convinzione che essi fossero dei selvaggi senza cervello, sicuramente ragionavano diversamente da noi, però la cura verso i defunti e la loro tendenza verso la spiritualità è sintomatica di una grande civiltà.
Il culto della Dea Madre ha attraversato i millenni prendendo varie forme, dalla Ishtar assiro Babilonese, alla Astarte Fenicio-Cananea, ad Iside degli Egizi fino a Maria Vergine, mantenendo pur nel rispetto delle diverse religioni i suoi connotati di protettrice e consolatrice.
Anche la Sardegna nuragica mantiene una forma di venerazione per l’elemento femminile, l'iconografia del  bellissimo bronzetto raffigurante una donna con in grembo una figura maschile non è molto diversa da quella di Iside che tiene in braccio Horus o a quella della “Pietà” di Michelangelo.
La più conosciuta delle Dee Madri è appunto Iside, che assomma in se tutte le caratteristiche proprie della divinità femminile, essa è doppiamente donatrice di vita, perché compie la resurrezione di Osiride-Orione ed è madre di Horus.
Essa è anche una terribile dispensatrice di morte capace di spietate vendette, è più potente del padre degli Dei egizi, Atum-Ra, perché conoscendo i suoi 72 nomi ha la capacità di ucciderlo.
L’uomo, essendo cosciente del grande potere del “Femminile”, una volta capito che il “miracolo” della nascita lo coinvolgeva da protagonista, ha cercato in tutti i modi di schiacciarlo e di renderlo subalterno a quello maschile.
La Dea è divenuta sposa del Dio maschio, figlia del Dio padre o madre di quello che una volta nato diviene infinitamente più importante di lei riducendola a semplice contenitore della divinità.
Quello del femminile è stato il più antico e duraturo culto dell’umanità e, nonostante i tentativi (ancora in atto) tesi a distruggerlo, mostra tutt’ora la sua grande forza nascosto nelle pieghe delle grandi religioni e nella tradizione ermetica.


Fabrizio e Giovanna

Riferimenti bibliografici:
Giovanni Lilliu: Arte e religione della Sardegna prenuragica

Giulio Malvani: Della Sapienzialità Templare



  

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