Rovine di Troia: torre nella cinta muraria |
Di Alberto Majrani
Nell’intervista ad Alberto Majrani http://ilmulinodeltempo.blogspot.com/2011/05/laltro-ulisse.html abbiamo accennato a come l’identificazione della mitica città di Troia in Turchia sia tutt’altro che sicura: ora l’autore ci regala un capitolo del suo libro “Ulisse, Nessuno, Filottete” (www.logisma.it) in cui viene approfondita la questione.
QUI SI NARRA DELL’ASTUTO
SCHLIEMANN
Qualcuno a questo punto
potrebbe spazientirsi, e domandare: ma Troia, allora? Heinrich Schliemann ha
ben scoperto una città nell’Asia minore! In realtà l’identificazione del sito
turco di Hissarlik con la città dell’assedio ha sempre lasciato perplessi gli
studiosi; gli archeologi seri tendono oggi a metterne in rilievo più le
differenze che le analogie. Per esempio, gli studi geologici dimostrano che
l’ampia pianura alluvionale che si trova alla base della collina su cui sarebbe
sorta Troia non esisteva ancora all’epoca del XII secolo avanti Cristo, data
che viene comunemente considerata come la più probabile per l’evento della
guerra. Il che significa che non c’era l’ampia spiaggia dove parcheggiare più
di mille navi, non c’era la piana dove far correre i carri, e non c’era neanche
il campo di battaglia!
Rovine di Troia |
Schliemann, inoltre, nell’ansia di cercare i tesori
dell’antica Troia, combinò dei disastri notevoli, scoperchiando i vari strati
archeologici e danneggiandoli irreparabilmente. Credette di trovare il “tesoro
di Priamo” nel secondo strato (risalente ad almeno mille anni prima della
presunta data della guerra), identificando in seguito la città dell’assedio con
il sesto o il settimo strato (gli strati archeologici vengono numerati in
ordine progressivo dal più profondo, che è anche il più antico, al più
recente). Inoltre, lo stesso Schliemann era tutt’altro che un personaggio
irreprensibile, e la sua autobiografia, che molti conoscono, è ampiamente “romanzata”: parecchi episodi
citati sono inventati di sana pianta, come per esempio la storia del suo
incontro con il presidente degli Stati Uniti, la presenza a San Francisco
durante il famoso incendio della città, la stessa smania di scoprire le
vestigia di Troia fin dalla più tenera infanzia, e molto altro ancora.
Rimandiamo a questo proposito al documentatissimo saggio di David A. Traill:
“Schliemann e la verità perduta di Troia”, dove il professore americano mostra
dell’archeologo tedesco un ritratto molto meno lusinghiero di quello divulgato
da lui stesso e dai suoi ammiratori. Particolarmente gravi sono le accuse di
aver alterato i risultati dei propri scavi con oggetti trovati altrove, forse
comprati o addirittura contraffatti, distorcendo molti dati archeologici e
persino falsificando i propri diari per provare certe affermazioni. Addirittura
il bel tipo si vantava della propria scorrettezza nei confronti di altri
archeologi che dovevano sovraintendere agli scavi, e contrabbandava
illegalmente i pezzi più preziosi, infischiandosene degli accordi sottoscritti
con le autorità locali. Traill non sembra però sostanzialmente dubitare della
realtà della scoperta delle rovine di Troia.
Rovine di Troia |
Tuttavia, molti archeologi
la pensano in modo diverso. Per esempio, il prof. Dieter Hertel (che insegna Archeologia
Classica all’Università di Colonia ed ha preso parte a diverse campagne di
scavo nell’area di Hissarlik), nel suo libro Troia (Bologna 2003), dopo
aver premesso che “fra i tanti strati che testimoniano le diverse ricostruzioni
di Troia dopo ogni distruzione avvenuta nei secoli, le fasi Troia VI
(1700-1300) e Troia VII (XIII secolo) non furono il teatro di famose imprese
militari”, sottolinea che «non è possibile parlare di una spedizione di greci
micenei contro la città, fosse essa Troia VI o Troia VIIa [...] Lo studio delle
fasi Troia I-VII [...] ci ha rivelato i contorni di una lunga epoca storica,
dai caratteri del tutto diversi da quelli del mondo e degli eventi descritti da
Omero». Inoltre, «non vi è alcun indizio che consenta di attribuire a una
conquista la fine di Troia VI, VIIb1 e VIIb 2 [...] Anche nel caso in cui Troia
VIIa sia stata presa con la forza, questo evento non può aver trovato riflesso
nella saga greca: nemmeno il minimo indizio depone a favore di tale
possibilità». Per di più, aggiunge Hertel, «nei dintorni di Troia non è stato
trovato alcun segno di un assedio contemporaneo agli strati di distruzione
rinvenuti nello scavo della città, portato da greci micenei o da altre popolazioni; né trincee,
né accampamenti fortificati per le navi, né alcunché di simile è stato scoperto
nei dintorni della città, sulla costa settentrionale o nella baia di Beşika,
nonostante le numerose e alacri ricerche condotte».
Da notare che i turisti vengono
spesso portati a vedere resti come la cosiddetta “tomba di Aiace”: peccato che
tali reperti archeologici risalgano all’epoca romana, circa un millennio dopo
Omero, e furono costruiti per far contenti i già allora numerosi viaggiatori
provenienti da Roma, compresi alcuni imperatori, che restavano affascinati
nello scoprire quelle che Virgilio aveva raccontato essere le “radici” degli
antichi romani! Trascriviamo
testualmente da Il libro dei libri perduti di Stuart Kelly: «L'imperatore
Adriano cercò di districare quei resoconti contraddittori chiedendo un parere
alla sibilla Pizia, che gli rispose: “Itaca è la sua patria, Telemaco suo
padre, ed Epicasta, figlia di Nestore, la madre che lo partorì, un uomo che è
di gran lunga il più saggio fra i mortali”.
Imperatore Adriano |
Se aveva ragione, e se Telemaco,
figlio di Ulisse, era l'antenato di Omero, l'Odissea è una biografia di suo
nonno oltre che un poema epico»
e quindi, aggiungiamo noi, un espediente agiografico per legittimare il suo
potere su Itaca. Così la Pizia, che era a capo dell’oracolo di Delfi, poteva
magari essere a conoscenza di qualche “mistero”, ben custodito e ben tramandato
da generazioni. Niente male l'idea di Omero, figlio di Telemaco, che scrive la
storia della nobile casata...
Si aggiunga poi che se si
vanno a vedere le descrizioni che Omero fa di Troia, per esempio nei libri XII
e XX dell’Iliade, ci si accorge che l’antica città di pietra del sito di
Hissarlik, fondata nel 3000 avanti Cristo sulla costa turca, ha ben poco in
comune con quello che sembra un tipico villaggio fortificato dell’Europa nordica.
Omero riferisce che le mura del campo degli Achei sono ancor più imponenti di
quelle di Troia, ma che vengono in parte abbattute durante un attacco troiano,
e che sono poi spazzate via dalla successiva piena del fiume. La stessa Troia
verrà poi completamente distrutta da un incendio: il tutto fa arguire che fosse
fatta in gran parte di legno; Omero sottolinea che solo le case dei membri
della famiglia reale erano di pietra. Si consideri quanta fatica fece secoli
dopo Giulio Cesare per fare capitolare Alesia, la città dei Galli, per rendersi
conto di quanto i villaggi del nord Europa fossero difficili da espugnare, pur
essendo protetti solo da robuste palizzate di tronchi. A questo punto si può
anche pensare, riprendendo le osservazioni di alcuni storici dell’antica
Grecia, che il famoso “Cavallo di Troia”
fosse in realtà una specie di “macchina da guerra”, non molto dissimile da
quelle architettate da Cesare per conquistare Alesia. L’eroe troiano Enea poi afferma (Iliade
XX, 219-240) che la fondazione della sua città risale a meno di sei
generazioni prima, cioè a circa 200 anni addietro; quindi se la guerra datasse
al 1200 avanti Cristo, e la fondazione al 1400, ci sarebbero “appena” 1600 anni
di differenza con la data reale di nascita della città turca! Insomma, in poche
parole, non c’è quello che dovrebbe esserci, e c’è quello che non dovrebbe
esserci! Alla fine di questo discorso, dunque, gli archeologi avrebbero tutti i
motivi per tirare un bel sospiro di sollievo al pensiero che la gloriosa città
cantata da Omero non sia quel cumulo di macerie devastato dal “mitico”
Schliemann!
Quindi la Troia della Turchia non
è altro che una delle tante città chiamate così, come ce n’è una in Puglia, una
in Portogallo, una Troyes in Francia, una Troynovant nell’antica Inghilterra,
per non parlare della ventina circa di Troy negli USA. Del resto questo
meccanismo di chiamare luoghi diversi con lo stesso nome ha continuato a
perpetuarsi dall’antichità fino ai giorni nostri: basti pensare che il termine
Eridano indicava anticamente un fiume europeo (non si è mai capito se il Rodano
o il Reno, o qualcun altro) e poi ha designato il Po. O a quanti monti Olimpo
ci sono: sette tra Grecia e Turchia, alcuni altri sparsi per il mondo, tra cui
uno in America, e uno persino su Marte! Quindi Schliemann non ha scoperto la
Troia omerica, ma solo un’importante città dell’antichità che poi è stata
chiamata così. Sarebbe ora interessante scoprire quale città fosse, magari è
proprio quella che gli Ittiti chiamavano Wilusa. La sua non fu un'impresa particolarmente
difficile, in fondo: egli era un ricco mercante, che viaggiava molto ed era
appassionato di archeologia, in un’epoca in cui i ricchi viaggiatori erano
pochissimi, e gli archeologi ancora meno. Bastava solo chiedere un po’ in giro e
lasciare qualche mancia, per scoprire resti interessanti. Bei tempi!
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