L’importante
centro agricolo di Samassi si incontra percorrendo la piana del Campidano
centrale, a circa quaranta chilometri a nord-ovest di Cagliari. L’abitato, di
antiche origini, ha restituito tracce di frequentazione a partire dall'età protostorica, con particolare rilevanza per le testimonianze di età punica e
altomedioevale.
Ai margini del centro storico, nella parte più alta del paese
denominata Su Cunventu, sorge la
chiesa dedicata a San Gemiliano (localmente Santu
Millanu) che, seppure molto restaurata e compromessa in alcune sue parti da
interventi di restauro e ripristino di diverse epoche, costituisce comunque uno
dei più importanti monumenti medioevali della zona.
Poco nota al grande
pubblico e totalmente esclusa dai percorsi turistici, la piccola chiesa romanica
mostra più di un motivo di interesse. Come già affermava Vittorio Angius fu,
con ogni probabilità, l’antica parrocchiale del paese, per lo meno fino alla
costruzione della nuova chiesa di Santa Maria di Monserrato, notevole edificio tardo-gotico
impiantato nei decenni finali del XVI secolo.
I
riferimenti documentari antichi relativi alla chiesa di San Gemiliano sono
scarsi e frammentari, e non contribuiscono in maniera determinante a chiarirne
le vicende costruttive: l’attuale veste dell’edificio si data senza difficoltà,
per via stilistica e per comparazione formale, alla seconda metà del secolo
XIII, epoca in cui si assiste all’avvio di numerosi cantieri romanici in tutta
la Sardegna meridionale, e che dunque vide la circolazione pressoché costante
di gruppi di maestranze, locali e non, la cui formazione e provenienza sono
ancora oggetto di indagine.
Le caratteristiche stilistiche della decorazione e dell’impaginazione
formale e strutturale della chiesa ci rimandano senza dubbio a una norma di
stretta osservanza degli stilemi pisani in alcuni dettagli come i portali e
l’articolazione dell’intelaiatura strutturale e decorativa dei muri, con la
commistione – tipica di numerosissimi cantieri toscani, sardi e corsi – di
elementi che, in modo generico, vengono abitualmente definiti “lombardi”.
Spontaneamente
si tende a condurre il ragionamento tenendo conto dei principali edifici in
fabbrica nella Sardegna centro-meridionale nel corso del Duecento – ad esempio
le nuove cattedrali di Cagliari, Tratalias, Suelli, Dolia – le cui innovazioni
da Cagliari e dagli altri principali cantieri si irradiavano nei centri più
piccoli, ma per quanto riguarda Samassi, a parte alcuni generici rimandi –
peraltro comuni ad altri monumenti – non è agevole avanzare proposte di
filiazione diretta.
Cagliari, duomo, portale del transetto nord |
Dolianova, cattedrale di San Pantaleo, portale nord della facciata |
Da notare comunque che, tra i monumenti citati, il confronto
con la cattedrale di Santa Maria a Tratalias è quello che offre i maggiori
spunti di riflessione.
Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetti nord e ovest |
Tratalias, cattedrale di Santa Maria, prospetto ovest |
La datazione
della chiesa che possiamo vedere oggi non scioglie i dubbi sulle preesistenze
che, anche allo stato attuale delle indagini, purtroppo mai condotte con
regolarità, sono comunque certe: scavi archeologici condotti nei primi anni ’80
hanno appurato che la chiesa sorge su un’area funeraria di età altomedioevale,
con tombe a camera di notevole interesse che
hanno restituito materiali di età vandalica e bizantina.
Una
chiesa Sancti Mamiliani de Simassi –
che si può, senza troppa difficoltà, identificare con la nostra – è citata in
un documento del 1 ottobre 1118 (1119 secondo lo stile pisano) tra le proprietà
del potente monastero benedettino di San Mamiliano dell’isola di Montecristo
(poi passato ai Camaldolesi nel XIII secolo), che vantava numerose proprietà
anche nella vicina Corsica. A parte questa testimonianza, non restano comunque
altre tracce documentarie che attestino l’eventuale presenza a Samassi di un
monastero benedettino annesso alla chiesa, né sussistono strutture
architettoniche riferibili alla chiesa Sancti
Mamiliani citata dal documento.
In attesa di più approfondite indagini
archeologiche che chiariscano in modo definitivo la questione, l’unica traccia
utile che ci consente di ipotizzare la presenza, nello stesso sito, di una
chiesa più antica, è il riutilizzo, nell’edificio duecentesco, di alcuni
frammenti marmorei scolpiti e reimpiegati nelle murature romaniche: databili
alla seconda metà del X secolo, in epoca mediobizantina, i due frammenti,
riconducibili a un perduto arredo marmoreo non meglio precisabile (Roberto
Coroneo propose la provenienza da una iconostasi) mostrano una raffinata
decorazione con rosette baccellate e una croce potenziata nascente da un
grappolo d’uva; il frammento di maggiori dimensioni è reimpiegato, in posizione
verticale, sullo stipite sinistro del portale maggiore, l’altro nella stessa
posizione nel portale aperto sul fianco settentrionale.
Nella
seconda metà del XVI secolo, probabilmente in concomitanza con l’erezione della
nuova chiesa parrocchiale, la chiesa di San Gemiliano fu affidata a una
comunità agostiniana, che vi edificò un convento rimasto poi in attività fino
alle soppressioni di metà ‘800 e di cui oggi non rimane alcuna struttura, in
quanto venne interamente demolito per isolare la chiesa e per fare spazio all'attuale casamento scolastico.
Il 18
giugno 1585 è documentata la commissione, da parte del feudatario don Emanuele
de Castelvì allo scultore Scipione Aprile, del proprio monumento funebre, da
collocarsi nella chiesa di San
Gemiliano, all’interno di un’ampia arcata appositamente realizzata e addossata
alla parete settentrionale (ASCA, ANL,
vol. 1516, cc. 373v-377 [notaio Gerolamo Orda]): il monumento, ancora oggi
custodito integro all’interno, costituisce una delle opere più rappresentative
dell’Aprile, che fu tra i principali artisti operanti in Sardegna nei decenni a
cavallo tra ‘500 e ‘600. Il sepolcro fu realizzato con certezza nel giro di poco
tempo, in quanto il 6 aprile 1588 lo scultore dichiara di essere stato pagato
dal Castelvì per la realizzazione dell’opera (ASCA, ANL, vol. 1523, cc. 277v-278 [notaio Gerolamo Orda]), mentre
l’iscrizione che la correda riporta: Sipio Apprile opus fecit a 12 de marco a[ño] 1586.
Venendo
a una breve descrizione della chiesa, si segnala subito che essa è
canonicamente orientata, con abside a est (per la precisione a sud-est) e
facciata a occidente. L’edificio è mononavato, con abside semicircolare e
copertura lignea su capriate (totalmente di ripristino).
La
chiesa è interamente edificata in trachite scura delle cave di Serrenti, pietra
molto facile da lavorare, ma purtroppo particolarmente sensibile alle
sollecitazioni meccaniche e all’azione degli agenti atmosferici, che hanno eroso,
in gran parte, i dettagli decorativi e hanno obbligato in alcuni casi i
restauratori ad estese opere di sostituzione dei conci danneggiati, anche se si
deve lamentare che in molte zone si è intervenuti con eccessiva disinvoltura.
La
scansione decorativa dei prospetti dell’edificio è semplice ma estremamente
elegante: da un alto basamento a scarpa nascono le larghe paraste angolari e le
più strette lesene, che ripartiscono le pareti nord, ovest e sud in tre ampie
specchiature per lato, concluse, in alto, da una lunga teoria orizzontale di
archetti pensili (in buona parte di ripristino, specie lungo il fianco sud) dal
profilo semicircolare, a ghiera semplice o doppia;
nel prospetto settentrionale
alcuni archetti (forse rimontati in posizione diversa dall’originale) mostrano
un profilo archiacuto, indizio importante per la datazione dell’edificio al
pieno XIII secolo;
la serie orizzontale degli archetti continua ininterrotta
anche nel prospetto principale, mentre si interrompe nella testata absidale, dove
le archeggiature corrono unicamente lungo il terminale del semicilindro
dell’abside e, una per lato, formano due specchiature di ridottissima ampiezza
ai lati dell’abside stessa;
quest’ultima, poi, non presenta partizioni
verticali, né la zoccolatura a scarpa che caratterizza il resto dell’edificio,
lasciando l’impressione di un dialogo poco armonico con il volume dell’aula e
con il resto della decorazione.
I
peducci d’appoggio degli archetti (moltissimi sono di restauro), laddove
originali, si mostrano lisci o presentano principalmente una semplice
decorazione a foglie dalla cima riversa, tipica del XIII secolo, e pochi altri
elementi decorativi difficilmente leggibili; se ne segnala uno, a ridosso della
parasta angolare di nord-ovest, con una croce potenziata.
Tutti i peducci sono
in trachite, escluso quello centrale dell’abside, che pare in marmo bianco o in
pietra calcarea.
Al
centro del prospetto occidentale si erge un campanile a vela a doppia luce,
certamente non originario ma di
difficile inquadramento cronologico; si può presumere, comunque, che
forse la sua conformazione potrebbe rispecchiare una situazione simile del
prospetto ab origine.
Le
porzioni superiori delle murature dell’intera chiesa mostrano di essere state
rimaneggiate e ricostruite in diversi punti, ma difficile è risalire all’epoca
di tali interventi: al di sotto del campanile a vela e tangente ad esso si
notano chiaramente le tracce di un’apertura tamponata – probabilmente una
bifora – il cui arco doveva originariamente eccedere in altezza l’attuale
spiovente del prospetto, segno tangibile del totale rimaneggiamento delle parti
alte dell’edificio. Analoga apertura, meglio conservata ma priva della
originaria probabile colonnina spartiluce, si apre nella stessa posizione sulla
testata orientale, al di sopra dell’abside.
Oltre
che dalle suddette aperture, la luce penetra abbondantemente all’interno
dell’edificio per mezzo di altre nove monofore a doppio strombo e sguanci
lisci: tre si aprono nel semicilindro absidale e le altre sei nei prospetti
nord e sud, una per specchio.
L’accesso alla chiesa avviene tramite due
portali dalla foggia molto simile: quello principale aperto al centro della
facciata ovest e uno, leggermente più piccolo, aperto al centro dello specchio
centrale del fianco nord.
Portale principale |
Portale nord |
Abbondantemente restaurato, il portale principale
mostra chiari stilemi pisani nell’intelaiatura strutturale, data da larghi
piedritti lisci (non monolitici) poggianti su basi modanate e sormontati da
interessanti capitelli a decorazione fitomorfa a foglie d’acanto dalla cima
riversa e caulicoli, del tutto analoghi ad altri coevi (vedi ad esempio quello custodito nella chiesa cagliaritana di Santa Chiara). I piedritti reggono un
architrave liscio in pietra calcarea, su cui scarica un arco semicircolare
dotato di sopracciglio nascente da due mensole scolpite con protomi
antropomorfe dall’accentuato volume sferico e con occhi a bottone molto
rilevati; su tali elementi, di indubbio interesse iconografico, pende però il
sospetto di un loro eventuale totale rifacimento in sede di restauro, così come
integralmente ripristinati sono il sopracciglio e le adiacenti lesene.
Cagliari, chiesa di Santa Chiara, capitello erratico |
Del
tutto analogo – ma conservato decisamente meglio – è il portale settentrionale,
la cui decorazione, persi i peducci di imposta del sopracciglio, è data
unicamente dalle basi plasticamente modanate dei due piedritti e dagli
interessanti capitelli degli stessi, che sfoggiano una ricca decorazione a
doppia corona di foglie e caulicoli. Al centro della lunetta si individua un
concio calcareo del tutto eroso, forse in origine portante una perduta
decorazione.
Si segnala, infine, la presenza di un
interessante concio in trachite con decorazione geometrica incisa a bassissimo
rilievo, collocato al di sopra della lesena settentrionale della facciata, ma
di incerta collocazione cronologica.
L’interno della chiesa, pur molto
suggestivo, oltre al notevole citato monumento Castelvì e a due acquasantiere
marmoree, non presenta particolari degni di nota; le murature si mostrano nude,
prive di intonaco, e sostengono una moderna copertura lignea su capriate,
bipartita da un arco diaframma di epoca tarda (XVI secolo?) risparmiato dai
restauri. Unico elemento di decorazione architettonica apprezzabile sono i due
capitelli-imposta dell’arco absidale, probabilmente anch’essi di restauro.
Nicola S.
BIBLIOGRAFIA
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chiesa:
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