Il castello detto “di San
Michele” – nei documenti è chiamato anche “di Bonvehì” – sorge nella moderna periferia
nordoccidentale di Cagliari, sulla sommità dell’omonimo colle, a oltre 100 metri s.l.m. e domina,
dalla sua splendida posizione, l’intera area urbana cagliaritana e
un’amplissima porzione del sud della Sardegna.
In particolare, dalla cima del
colle si abbracciano: l’intero arco del golfo degli Angeli a sud;
Veduta della città dal colle, verso sud |
l’entroterra
del Campidano a nord, con le principali strade d’accesso alla città e al suo
porto (il porto non è visibile dal castello);
Veduta della città dal colle, verso nord |
le catene montuose del Sarrabus, dei
Sette Fratelli e del Gerrei da sud-est a nord-est;
Veduta della città dal colle, verso sud-est |
Veduta della città dal colle, verso est |
Veduta della città dal colle, verso nord-est |
le montagne di Capoterra,
dell’Iglesiente e il massiccio del Linas da sud-ovest a nord-ovest;
Veduta della città dal colle, verso sud-ovest |
Veduta della città dal colle, verso ovest |
Veduta della città dal colle, verso nord-ovest |
in
condizioni di buona visibilità è possibile distinguere in lontananza i primi
contrafforti del Gennargentu.
Il maniero è in comunicazione visiva con tutto il
sistema di difesa costiero del golfo, da Pula a capo Carbonara e, limitatamente all'epoca medioevale, si interfaccia direttamente con la torre di San Pancrazio
di Cagliari (oggi purtroppo in parte coperta da edifici moderni) e con il
castello di Acquafredda a Siliqua, ben visibile verso nord-ovest. Dunque
l’edificio è percepibile da tutta la città e dai dintorni anche a diversi
chilometri di distanza, ed è certamente uno degli elementi fondamentali che
caratterizzano il paesaggio del capoluogo.
Il colle di San Michele da nord-est (da via dei Pioppi) |
Il colle di San Michele da nord-est (da via del Timo) |
Il colle di San Michele da nord-est (da via Fratelli Alinari) |
Il colle di San Michele da nord-ovest (dal cimitero di San Michele) |
Il colle di San Michele da sud (dal colle di Monte Claro) |
Il colle di San Michele da sud-ovest (da via Belvedere) |
Il colle di San Michele da sud-est (da via Eleonora Fonseca) |
Nonostante questo, il monumento –
senza dubbio una delle strutture fortificate meglio conservate del Medioevo
sardo – è poco conosciuto e non ha ancora oggi, all’interno dei percorsi
turistici della città, la rilevanza che merita. Diverse sono le questioni
tutt’ora aperte e irrisolte che riguardano la sua storia e le sue origini, e il
quadro offerto dalla bibliografia esistente sull’argomento è quanto mai
frammentario ed eterogeneo. La complessità degli interventi strutturali e
architettonici che il castello ha subito nel corso dei secoli rende poco
agevole una ricostruzione certa delle sue fasi costruttive; la storiografia
ottocentesca e buona parte di quella degli ultimi decenni (anche quella
specialistica) hanno sempre collocato la fondazione del castello in epoca
giudicale o pisana, ritenendo appartenenti al XIII secolo le due torri del lato
orientale, mentre la terza torre e le aggiunte sarebbero di epoca aragonese.
Veduta da sud-est |
Veduta da sud-ovest |
Veduta da nord-est |
Veduta da nord-ovest |
Pur
senza adeguati riscontri storici, si è spesso messo in relazione il castello di
San Michele con la scomparsa capitale giudicale di Santa Igia. Gli storici
dell’Ottocento sostenevano, sulla base di fonti seicentesche o più antiche, che
il castello fosse sorto sui resti di un monastero e di una chiesa appartenute
ai Certosini. La notizia sembrerebbe non avere fondamento, ma è da segnalare
subito, però, che le strutture del monumento inglobano, sul lato ovest, i resti
di una piccola chiesa romanica, probabilmente in origine intitolata
all’arcangelo Michele e che potrebbe aver dato il nome al colle e, in seguito,
al castello. Giovanni Spano, nel 1861, testimonia che, ancora a metà dell’Ottocento,
si celebrava la messa nel giorno sacro all’arcangelo, anche se non è possibile
appurare se l’oratorio citato dallo Spano sia o meno la chiesetta romanica
suddetta, che in quegli anni doveva essere probabilmente inglobata e nascosta
dalle strutture più recenti.
Della chiesa medioevale si può oggi vedere la
sezione inferiore della facciata, rivolta a occidente, con due portali
lunettati affiancati e separati da una lesena; sopra uno dei portali si notano
i resti di una monofora; la particolare struttura di questo prospetto induce a
pensare che si trattasse di una chiesa a due navate, sul modello di altre
ancora esistenti nei dintorni.
La sua appartenenza ai Vittorini, da alcuni
proposta in base a certe analogie stilistiche con altre chiese di proprietà di
quest’ordine, non sembra avere riscontro nei documenti storici. Alcuni fusti di
colonna e basi in pietra calcarea recuperati nel corso degli scavi potrebbero
riferirsi alle strutture dell’aula dell’edificio sacro, smantellato in epoca
imprecisabile.
In assenza di elementi caratterizzanti, è difficile datare la
chiesa, per la quale si può proporre, prudentemente, una cronologia compresa
tra il XII e il XIII secolo. Resta priva di fondamento la tesi secondo la quale
il piccolo edificio sacro risalirebbe all’epoca altomedioevale; oltre
all’assenza di riscontri documentari saldi, le caratteristiche architettoniche
di ciò che resta in piedi sembrano orientare senza dubbio verso l’epoca
romanica. Resta da chiarire se la chiesa, dopo essere stata inglobata dalle
strutture del maniero, perse o meno la propria funzione: nulla vieta di
ipotizzare che l’aula ecclesiastica sia rimasta in piedi e che fosse utilizzata
come cappella anche in seguito; è anche possibile che, coincidendo il suo
prospetto principale con la cortina occidentale della fortezza, gli ingressi
originari siano stati tamponati fin dall’inizio, rendendo magari accessibile
l’aula in altro modo dall’interno. In mancanza di riscontri, questa resta solo
un’ipotesi di lavoro. Non sussistono tracce, invece, dell’ipotetico monastero.
Altra ipotesi spesso data per
certa e che pare suffragata dalle fonti documentarie trecentesche, ma difficile
da dimostrare, è quella secondo cui molte delle pietre con cui fu edificato il
castello provengano dal monastero e dalla basilica vittorina di San Saturno;
nel corso di vecchi scavi si rinvennero diversi frammenti architettonici di
pregio di epoca romanica, ma di incerta origine.
Passando alle strutture del
castello, così come le vediamo oggi, nessuna evidenza architettonica o notizia
storica sicura ci permettono di datare le sue fasi più antiche all’epoca del
dominio pisano; anzi, un attento spoglio della documentazione archivistica
superstite e, in parte, pubblicata, unitamente all’esame delle strutture
architettoniche originali, ci consentono di proporre una più attendibile
datazione al pieno XIV secolo, successivamente alla conquista
catalano-aragonese della città. Questo, tuttavia, non esclude del tutto l’idea
che sul colle potesse esistere una qualche struttura fortificata più antica, ma
di cui non resta alcuna traccia evidente. Da un documento del 10 luglio 1325 –
conservato nell’Archivio della Corona d’Aragona a Barcellona – sembra di poter
arguire che a quella data il colle, che doveva aver giocato un ruolo strategico
non secondario durante l’assedio del Castello di Cagliari l’anno precedente,
fosse ancora sprovvisto di fortificazioni adeguate; si parla infatti di una domum fatta costruire da Berengario Carroz
– a cui il sito era stato da poco tempo assegnato in feudo insieme alle ville
di Utasusu e Utaiusu – priva però di torri e fossato, e vengono citate la
chiesa, sulla quale detta domum era
stata edificata, e alcune case ad essa vicine. Nello stesso documento si
ingiunge, quindi, al Carroz, di edificare a proprie spese, come da accordi
precedenti, un castello ben munito, pena la recessione dalla concessione
feudale delle suddette ville. Dunque i lavori dovettero prendere avvio negli
anni immediatamente successivi, per poi completarsi gradualmente nel corso del
Trecento.
Da altri documenti degli stessi anni si conosce una controversia
messa in atto dall’arcivescovo di Cagliari, per riottenere la proprietà del
colle, dato che il castello era stato edificato su una proprietà ecclesiastica;
la vertenza non ebbe seguito e il colle restò ai Carroz, che divennero una
delle maggiori famiglie feudali sarde.
Documenti trecenteschi riportano poi
diverse rimostranze delle autorità cittadine contro Berengario II Carroz, che
ospitava sul colle malviventi e fuorilegge, abusando dei privilegi concessigli
dal re; negli anni, intorno al castello, si formò un borgo, testimoniato nelle
carte d’archivio e di cui oggi restano scarsissime tracce.
Il maniero ebbe poi,
senza dubbio, un ruolo militare notevole nel corso della guerra contro l’Arborea.
Si sa poi che, durante il Quattrocento, persa in parte la sua funzione militare
e diventato dimora stabile della famiglia Carroz, divenne una lussuosa
residenza, ed è a quest’epoca che si possono far risalire le grandi finestre
quadrangolari aperte nelle torri. Nel 1468 è documentata l’esplosione di un
deposito di polvere nel castello, evento che provocò gravi danni all’edificio e
la morte del feudatario, Giacomo Carroz. Questo episodio contribuì, forse, alla
fine dell’utilizzo del castello come residenza abituale della famiglia.
A metà
del Cinquecento risulta disabitato e presidiato soltanto da una piccola
guarnigione. Non si conosce la data del suo passaggio al demanio statale. Nel corso
del Seicento, a parte qualche piccola opera di manutenzione, il castello venne
utilizzato come lazzaretto e luogo di quarantena durante la grande epidemia di
peste degli anni Cinquanta, per poi subire un lento declino. Un intervento più
invasivo si ebbe a metà del ‘700, quando fu ristrutturato allo scopo di
trasformarlo in una moderna fortezza, con muri a scarpa e rivellini lungo le
cortine esterne e agli angoli e una colmata dello spazio interno, al fine di
creare le aree di manovra per le artiglierie, elevate al livello delle nuove
cannoniere. Di tutte queste sovrastrutture stratificatesi nei secoli e in gran
parte eliminate nel corso dei restauri è, al giorno d’oggi, difficile
individuare le tracce.
Divenuto successivamente, per diversi decenni, caserma
degli invalidi, il castello fu gradualmente dismesso e abbandonato, fino al
1867, quando venne espunto dal novero delle fortificazioni e venduto a privati.
Fu poi dichiarato monumento nazionale e, nel 1896, subì il primo intervento di
restauro, curato da Dionigi Scano: non si trattò di opere di grande entità, e ci
si limitò a un consolidamento generale delle strutture medioevali delle torri e
delle cortine esterne, gravemente compromesse, e a uno sterro del piazzale
interno, teso a riportare alla luce gli ambienti originari, occultati nel corso
della ristrutturazione settecentesca. Ma questo non bastò a preservare il
castello dall’incuria: dopo che il colle tornò in proprietà al Demanio, nel
1929 vi fu installata la stazione radio-telegrafica della Marina Militare,
dismessa solo nel 1977, che rese il luogo inaccessibile per mezzo secolo. Se la
pluridecennale presenza militare sul colle contribuì certamente al degrado del
monumento, d’altra parte la chiusura totale dell’area preservò il castello e il
colle stesso dalla speculazione edilizia di quegli anni, che andava saturando
ogni spazio disponibile nella zona circostante. Per questo motivo oggi il
complesso del colle presenta anche una notevole valenza paesaggistica e
ambientale, che altri colli cagliaritani hanno perso o hanno visto gravemente messa
a rischio, anche in anni recenti.
A partire dal 1988 presero avvio gli
interventi che hanno avuto come obiettivo lo scavo, il restauro e la
valorizzazione del castello. Conclusosi a metà degli anni ’90, l’intervento eseguito
sul monumento venne da subito aspramente criticato per il suo impatto invasivo sulle
antiche strutture: l’interno del castello è stato, infatti, trasformato in un
moderno centro culturale polivalente, destinato a ospitare mostre, convegni o
quant’altro. Nonostante le opere moderne non pregiudichino la conservazione e la
fruizione del monumento stesso, è l’immagine stessa del castello ad averne
risentito, in quanto le strutture interne del maniero sono “affogate” in un
contenitore ultramoderno, stridente sia per materiali che per forma, al punto
tale da risultare incompatibile con le strutture medioevali superstiti che, in
quanto allo stato di rudere, non potevano avere altra funzione se non restare
monumenti di sé stesse. Immutata o quasi è, al contrario, l’immagine esterna
dell’edificio.
Il castello di San Michele dall'alto, visto da nord-est (immagine tratta da google maps) |
Queste, a grandi linee, le
vicende storiche di cui il monumento è stato protagonista.
Così come lo possiamo vedere oggi
dopo i restauri, il castello si mostra in una forma abbastanza vicina a quella
che doveva avere nel XIV e nel XV secolo. Presenta una pianta quadrangolare,
caratterizzata dalla presenta di tre torri: due sul lato est, più tozze e
massicce, sono con grande probabilità le più antiche; la terza, a sud-ovest,
più alta, fu aggiunta probabilmente in seguito, forse ancora nel corso del
Trecento.
Lo spigolo nord-ovest, allo stato attuale, non mostra tracce di una eventuale quarta torre, che probabilmente non venne mai costruita. Il grande rivellino che si protende sul fossato in questo punto appartiene alla fase dei lavori del XVIII secolo. Le peculiarità architettoniche delle aperture visibili nelle torri (porte e finestre più antiche), contraddistinte da archi con i conci posti “a ventaglio” e da strette feritoie, sono un utile elemento di datazione, che le riconduce senza dubbio ai primi decenni della presenza catalana in Sardegna. Altre finestre più recenti, come già visto, quadrangolari, di grandi dimensioni e in alcuni casi affiancate internamente da sedili, furono aperte in rottura dei muri delle torri trecentesche presumibilmente nel corso del Quattrocento, quando la fortezza fu trasformata in residenza signorile.
Le torri nord-est e sud-est, abbastanza simili tra loro per forma e dimensioni, vengono spesso superficialmente percepite come un unico blocco edilizio ma, a una attenta osservazione, emergono alcune differenze notevoli nella tessitura del paramento murario e in altri elementi, a dimostrazione che non sono state costruite contemporaneamente: la torre di nord-est (generalmente considerata, senza dati probanti, la più antica) mostra una esecuzione dei paramenti murari molto accurata, con una tessitura isodoma caratterizzata da conci calcarei di medie dimensioni perfettamente tagliati e messi in opera con maestria.
Immagini della torre nord-est
La torre di sud-est presenta muratura isodoma solo negli spigoli, mentre il resto è in pietrame di dimensioni inferiori.
Entrambe
le torri in questione mostrano, alla base, un robusto muro a scarpa di
rinforzo, costituito da blocchi calcarei decorati a bugnato. Questa struttura
costituisce uno degli elementi di maggior interesse architettonico dell’intera
fortezza e, anche in questo caso, le fasi edilizie e la cronologia sono
abbastanza incerte e confuse: non è chiaro, infatti, se tali elementi
appartengano o meno alle prime fasi edilizie del castello. In particolare si
può notare agevolmente, nella scarpa della torre sud-est, il punto in cui essa
si “appoggia” al muro verticale retrostante, cosa che porta a escludere che sia
in fase con le murature della torre. In assenza di dati certi o di appigli
documentari, l’evidenza architettonica mostra chiaramente che si tratta di
un’aggiunta, avvenuta forse ancora nel XIV secolo o nel corso del XV, epoca in
cui il maniero fu residenza stabile del feudatario. La muraglia a scarpa si
ritrova, ad esempio, nel muro di prospetto del castello di Villasor, datato alla
prima metà del Quattrocento e, molto simile, in diversi castelli feudali della
Catalogna e dell’area valenzana.
Torre sud-est |
Torre sud-est |
Torre sud-est |
Torre nord-est |
La torre nord-est presenta anche
un’altra peculiarità: mostra una struttura interna molto robusta, a due piani
voltati a botte, mentre le altre due torri avevano solai lignei, oggi
scomparsi. Una cortina muraria, in gran parte originale, unisce le due torri
sul lato orientale; in questa cortina, presso la torre sud-est, si apre il
portale d’accesso al castello, caratterizzato da un arco ogivale, sormontato da
due stemmi trecenteschi, quello di Cagliari e quello della famiglia Carroz.
All’interno, nello spessore murario, resta ben visibile la guida in pietra in
cui scorreva la saracinesca.
Immagini della cortina est
La terza torre, posta a sud-ovest,
più alta e più slanciata rispetto alle altre due, non presenta alla base la
muraglia a scarpa, e generalmente viene considerata la più recente delle tre; essa
mostra dei paramenti murari realizzati con poca cura, in opus incertum, con pietre di piccola pezzatura messe in opera con
abbondante uso di malta.
Immagini della torre sud-ovest
La cortina meridionale, che unisce quest’ultima torre
a quella di sud-est, mostra – a differenza di quella orientale meglio
conservata – di essere stata più volte rimaneggiata, e presenta ancora, in
alto, le cannoniere del XVIII secolo. Vi si apre, impropriamente, l’attuale
ingresso al complesso, realizzato nel corso degli ultimi, pesantissimi
restauri, aprendo una breccia nella muratura. L’accesso avviene tramite una
passerella in cemento, sospesa sul fossato.
Immagini della cortina sud
La cortina ovest, in cui si apre la
facciata romanica della chiesa, si presenta molto danneggiata e integrata; la
cortina nord, infine, esclusi alcuni tratti ben distinguibili, è in larga
misura di restauro.
Tutte e tre le torri e le cortine
mancano oggi dell’originario coronamento che, quasi certamente, era costituito
da una merlatura poggiante direttamente sul filo dei muri, come possiamo
osservare in altri castelli e residenze feudali della Sardegna. Non è possibile
conoscere l’epoca in cui il monumento perse la merlatura e, in via ipotetica,
si può pensare ancora una volta ai lavori di ristrutturazione del Settecento,
in occasione dei quali le cortine vennero, con ogni probabilità, abbassate
notevolmente per la realizzazione delle cannoniere.
Il castello si presenta interamente
circondato da un largo e profondo fossato, la cui cronologia rimane incerta; generalmente
si tende a escludere la possibilità che esso faccia parte dell’edificio
medioevale (e i pochi dati di scavo sembrerebbero confermarlo), nonostante il
documento citato del 1325 ne prescriva la costruzione insieme ad altre opere; appare
plausibile l’ipotesi che anch’esso faccia parte dei pesanti interventi settecenteschi,
che trasformarono l’antico maniero in un moderno forte; ma potrebbe trattarsi
anche di un’opera seicentesca, realizzata nel corso di alcuni documentati
interventi di manutenzione e potenziamento della struttura.
Durante i lavori si sono
rinvenute, specie sul lato ovest, labili tracce di una porta e dell’antemurale
che doveva cingere il castello e, plausibilmente, anche il borgo che gli
sorgeva intorno; la sua totale distruzione potrebbe essere connessa alla
realizzazione del fossato e delle altre opere esterne.
Altri elementi interessanti da
segnalare, per concludere, sono le tracce lasciate nella roccia calcarea
intorno al castello dal passaggio dei carri nelle varie epoche: si tratta di
solchi paralleli, talvolta intersecantisi, lunghi anche varie decine di metri.
Sempre alla
sommità del colle e anche all’interno del castello si possono individuare diverse
cisterne, alcune delle quali probabilmente di epoca romana.
Impossibile dar conto, in poco
spazio, di tutte le particolarità architettoniche dell’edificio, per cui si
rimanda all’esame di alcuni testi specifici e, certamente, alla visita del
castello stesso.
Ipotesi ricostruttive:
Nicola S.
Per
approfondire (bibliografia essenziale):
- F. Fois, Castelli della Sardegna medioevale, Cinisello Balsamo 1992;
- R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del mille al primo ‘300, Nuoro
1993;
- Aa.Vv., Il castello ritrovato. Il castello e il colle di San Michele,
Cagliari 1995;
- A. M. Colavitti, C. Tronchetti, Guida
archeologica di Cagliari, Sassari 2003;
- M. Rassu, Rocche turrite. Guida ai castelli medievali della Sardegna,
Dolianova 2007;
- M. Rassu, A. Serra, Il castello
di San Michele, Iglesias 2008;
- N. Usai, Signori e chiese. Potere civile e architettura religiosa nella Sardegna
giudicale (XI-XIV secolo), Cagliari, 2011.
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