Il 3 marzo del 1799 un convoglio di sette navi mercantili con la scorta di un vascello da guerra inglese entrò nel golfo di Cagliari. Le navi trasportavano la famiglia reale sabauda nell’ultimo lembo di terra in loro possesso dopo che i francesi ebbero occupato l’intero Piemonte, infatti il 9 dicembre del 1798 Carlo Emanuele IV, dopo aver abdicato, decise di raggiungere la Sardegna col consenso degli invasori.
La
corte sabauda fece prima una sosta a Parma, poi si recò a Firenze, dove si
trattenne fino a quando a Livorno vennero allestite le navi e le vettovaglie
loro necessarie. Mentre i reali
aspettavano che si compissero le operazioni necessarie per la loro partenza, a
Cagliari si discuteva il da farsi in questa straordinaria circostanza.
La notizia dell’imminente arrivo dei Savoia
aveva creato non poche preoccupazioni sia
in quei personaggi coinvolti attivamente nella cacciata dei piemontesi
sia nelle istituzioni che decisero di rimettere ogni decisione ad una speciale
commissione formata dalle prime voci degli Stamenti e da alcuni altri loro
eminenti rappresentanti.
Questa
commissione dopo aver preso contatto con la Reale Udienza, il Consiglio di
Stato ed essersi consultata col capopopolo cagliaritano Vincenzo Sulis e
avergli chiesto precise garanzie nei confronti dei reali, decise di inviare una
deputazione a Livorno con l’incarico di consegnare al re un messaggio che lo
invitava a raggiungere al più presto la Sardegna.
Per
festeggiare il suo arrivo nel regno il 6 marzo il re concesse l’indulto per
tutti i delitti compresi quelli politici.
Questo
fu solo il primo dei provvedimenti volti a riorganizzare il regno e ad esso ne
seguirono diversi altri, infatti il re
ridistribuì le alte cariche conferendo al duca d’Aosta il titolo di governatore
di Cagliari, di capo meridionale e della Gallura e generale delle armi, il duca del Monferrato ebbe la nomina di
governatore di Sassari e del Capo settentrionale e il duca del Genovese e il
conte di Moriana furono nominati rispettivamente comandante della fanteria e della
cavalleria miliziana.
Tra
i provvedimenti decisi dalla corte alcuni furono fondamentali per il futuro
dell’ormai quasi ex tribuno cagliaritano Vincenzo Sulis; questi minarono
infatti il suo potere e, soprattutto, lo privarono della forza dei suoi
miliziani con lo scioglimento delle centurie di volontari e il congedo dei
comandanti il 27 marzo 1799.
Questo
provvedimento del re a pochi giorni dal suo arrivo avrebbe dovuto mettere in
allarme il Sulis che invece, come lui
stesso riferisce nella sua autobiografia, non si avvide di nessun pericolo.
Apparentemente egli godette della protezione
del duca d’Aosta, ma la posizione non più sicura si rese chiara con le accuse
di congiura contro la famiglia reale e le perquisizioni in casa sua dove
vennero ritrovate delle lettere con la sua firma che in seguito risultò falsa.
Era ormai chiaro che qualcuno tramava per la sua rovina ed egli riteneva
fossero le stesse persone che furono da lui fermate nei loro numerosi tentativi di
tramare contro il re e contro la monarchia.
Molto
probabilmente, invece tutta la vicenda che scosse Cagliari nell’ultimo anno del
1700 fu abilmente orchestrata dalla corte sabauda per eliminare un pericoloso
ostacolo al loro inflessibile assolutismo.
A
poco a poco le autorità fecero il vuoto intorno al loro bersaglio, vennero
arrestati amici e parenti del Sulis, il tutto mentre il duca d’Aosta gli
dimostrava amicizia e gli proponeva il consolato di Smirne che fu sempre
rifiutato, perché il Sulis confidava nella protezione del duca convinto
che fosse un uomo di parola.
Dopo
aver incarcerato e scarcerato diversi amici e parenti del Sulis perché le
accuse nei loro confronti erano inammissibili, i magistrati competenti si
concentrano sul personaggio principale. Indagarono prima il giudice
Mameli e poi il giudice Francesco Maria Pilo Boyl. I due magistrati dopo lunghe indagini
ritennero che tutte le accuse nei confronti del loro indagato fossero prive di
ogni fondamento, ma stranamente i risultati di questa prima istruttoria non
furono allegati alle carte processuali.
Il 12 agosto venne emanato un ordine d’arresto per Vincenzo Sulis e per
i suoi seguaci.
Il tribuno, caduto ormai in disgrazia, si
diede alla latitanza e si rifugiò in casa di un amico nel quartiere della Marina.
Il 28 agosto la “delegazione della Zecca” deliberò
di “doversi sopprimere quella causa calunniosa, indi procedersi economicamente
nella medesima con esiliare fuori regno
tutti i calunniati e falsamente accusati compreso il detenuto Sulis. ”
Nonostante la delibera della delegazione in
favore di Sulis e compagni, Carlo Felice,
che nel frattempo aveva aggiunto ai suoi innumerevoli titoli quello di
viceré, lo mise al bando proibendo a chiunque di aiutarlo e dargli asilo e
mettendo una taglia di 500 scudi sulla sua testa.
Il fuggiasco vista la piega
degli eventi, tentò di espatriare in Corsica, affidandosi al cognato Giovanni
Battista Rossi e al proprietario della feluca napoletana sulla quale doveva
fuggire, Tommaso Scotto, che lo tradirono consegnandolo al cavalier Raimondo
Mameli, comandante della nave da guerra che li abbordò.
Il
cavalier Mameli lo consegnò alle truppe che attendevano al molo che lo
rinchiusero sotto stretta sorveglianza nella torre dell’Aquila (attualmente inglobata nel lato sinistro del palazzo Boyl).
Dentro
la torre dell’Aquila era sorvegliato costantemente anche durante i pasti e, a
suo dire, il cavalier Villamarina non esitava a terrorizzarlo continuamente
prospettandogli la forca sicura. Nel frattempo il processo andava avanti e si
concluse con la condanna a carcere perpetuo da scontarsi nella torre dello
Sperone ad Alghero.
Fabrizio e Giovanna
Articolo interessante.
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