Nel precedente post LA SARDEGNA E LE FORTIFICAZIONI CAGLIARITANE NELLA PRIMA
METÀ DEL 1700 abbiamo
affrontato il tema riguardante il primo periodo di governo piemontese, le sue
azioni volte a dare una soluzione di continuità al fine di non entrare in
contrasto con la realtà isolana e i tentativi di ripopolamento attuati dal
Rivarolo per combattere l’arretratezza economica e le attività criminali.
Nei primi 50’anni di governo piemontese mancò un’organica visione delle
necessità dei sardi e degli interventi necessari a risanare i settori
produttivi; la situazione era resa ancora più critica dalla mancanza di una
classe dirigente indipendente dai feudatari e dagli ecclesiastici che
detenevano la maggior parte dei territori.
Tra il 1755 e il 1758, furono convocate numerose giunte per decidere le
misure da adottare per risanare la difficile situazione in cui si trovava la
Sardegna, a tal fine si esaminarono, discussero e rielaborarono tutte le
informazioni disponibili e i piani fino ad allora ideati per il suo
rifiorimento.
Ai congressi prese parte il conte Bogino, partecipante in qualità di
responsabile della Segreteria di Guerra che dal 1720 gestiva il controllo delle
aziende e degli approvvigionamenti militari. A differenza dei precedenti
governanti, il Bogino attese al suo impegno con un interessamento, una energia
e un dinamismo del tutto nuovi rispetto al passato. Mentre fino ad allora i
tentativi per migliorare la vita economica sarda erano stati tutti di
intervento esterno, come la colonizzazione di zone disabitate e la spinta
all’impianto di manifatture, generalmente da parte di stranieri, egli si occupò di potenziare e
migliorare le risorse esistenti come le miniere e l’agricoltura.
Dal 1758 si inaugurò così il
periodo boginiano la cui azione si fece sentire in tutti i settori fino al 1773, quando fu licenziato dal nuovo re Vittorio Amedeo II.
Nel 1759 il re Carlo Emanuele III affidò al conte Bogino la direzione unica di tutti gli affari riguardanti la Sardegna esautorando il vicerè.
Nel 1759 il re Carlo Emanuele III affidò al conte Bogino la direzione unica di tutti gli affari riguardanti la Sardegna esautorando il vicerè.
Il corpus di regolamenti, istruzioni e relazioni
elaborati dal Bogino diventarono il punto di riferimento per tutti gli
interventi futuri. La sua attività
impersonava la nuova tendenza politica
accentratrice dell’età delle riforme, che, presentandosi come una prosecuzione
di quanto era in vigore nel passato, cercava nella tradizione la propria
legittimazione. La filosofia ispiratrice della
politica delle riforme era quella di attuare una innovazione che amava
presentarsi come prosecuzione di quanto era precedentemente in vigore e che nel
passato cercava la propria origine e legittimazione.
Bogino concentrò nelle sue mani la direzione della vita politica,
religiosa, giudiziaria ed economica dell’Isola, seguì personalmente tutti i
problemi ed esercitò un ferreo controllo sull’operato di coloro i quali erano
preposti ad applicare le sue direttive. I progetti che il ministro tentò di
realizzare per promuovere il “rifiorimento” dell’economia isolana non ebbero
l’organicità che caratterizzava i suoi interventi in campo amministrativo e
culturale e non sempre conseguirono gli effetti sperati. Nelle intenzioni del
sovrano e dello stesso ministro l’obiettivo principale era quello dello sviluppo
economico della Sardegna dal quale poteva scaturire l’aumento della “felicità”
del regno.
Avvalendosi della corrispondenza con l’intendente generale e delle
relazioni dei vari funzionari, il Bogino elaborò piani per la rinascita
economica dell’Isola, ma la sua azione riformatrice fu episodica e
frammentaria, rivolta più a salvaguardare gli interessi dello stato
patrimoniale che a promuovere il progressivo benessere delle popolazioni.
Egli non affrontò i due problemi di fondo della società sarda, la presenza
e la persistenza dell’anacronistico regime feudale, con tutti gli abusi, i
privilegi e i gravami che esso comportava e la comunione delle terre, ancora
godute collettivamente in un sistema arcaico che metteva in perenne contrasto
pastori e contadini. Non operò nel campo delle infrastrutture, non provvide
cioè a creare una rete stradale che favorisse il commercio interno e creasse
sbocchi verso approdi costieri, e neppure orientò i Sardi verso il mare con
iniziative che portassero alla formazione di una marineria mercantile
nazionale, condizione necessaria per far uscire la popolazione dall’
isolamento.
Un altro settore non sufficientemente curato dai riformatori piemontesi fu
quello delle manifatture e delle industrie, che costituiva un terreno ancora
vergine dove molto poteva essere fatto: basti pensare alle notevoli risorse
minerarie suscettibili di intenso sfruttamento. Vero è che numerosi
imprenditori privati si proposero di impiantare nell’Isola cartiere,
saponifici, vetrerie, fabbriche tintorie, ecc., ma i vari tentativi, quando
uscirono dallo stato di semplice progetto, fallirono tutti. La ragione più
profonda di tali insuccessi va ravvisata anche nel difetto di preparazione
tecnica, da porsi in relazione all’arretratezza culturale della classe
dirigente sia piemontese che sarda.
Nonostante tutto, qualche risultato fu raggiunto nel campo della cultura, un
primo provvedimento nel campo dell’istruzione superiore si ebbe nel 1759,
durante il viceregno del conte Tana, quando venne istituita a Cagliari una
scuola di chirurgia affidata al professore piemontese Michele Plazza che,
essendo anche studioso di scienze naturali, si occupò pure di geologia e
mineralogia.
I successi maggiori furono registrati nel riordinamento degli studi
universitari. Nel 1764 avvenne la rifondazione dell’Università di Cagliari e
nel 1765 quella di Sassari; per entrambe le università le facoltà erano
quattro: teologia, leggi, medicina e filosofia, più tardi si aggiunse quella di
chirurgia.
Il palazzo dell’Università di Cagliari fu costruito sotto la direzione dell'ingegnere
militare piemontese Saverio Belgrano di Famolasco, che, dal 1761 al 1769,
realizzò in Sardegna opere di fortificazione ed edifici sia pubblici che
privati.
Altri provvedimenti nel campo dell’istruzione e della cultura riguardano la
creazione dell’Archivio di Stato di Cagliari nel 1763 e la fondazione, sempre a
Cagliari, della Stamperia Reale per la pubblicazione degli atti governativi, di
libri scolastici e di divulgazione agraria.
Nel settore dell’economia l’attività riformatrice sabauda si snodò verso
due indirizzi, uno teorico facente capo al libro del padre gesuita Francesco
Gemelli, Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento della sua
agricoltura, e l’altro pragmatico che ebbe il suo esponente più
rappresentativo nell’economista cagliaritano Giuseppe Cossu. Il primo indirizzo
era conforme alle vedute e agli orientamenti della dominante dirigenza
subalpina, mentre il secondo rappresentava una posizione più autonoma, ma pur
sempre subalterna, di un esiguo gruppo di funzionari locali.
Il libro del gesuita peccava di
eccessiva astrattezza e mal si adattava ad essere assunto come programma di
riforme; pretendeva, infatti, che quei principi validi nella quasi generalità
dei casi, potessero essere applicati anche all’economia sarda che il suo autore
non conosceva a fondo. I rimedi da lui proposti, come ad esempio l’abolizione
della comunanza delle terre, la costruzione di fattorie, l’impianto di prati
artificiali ecc., erano fuori dalla realtà isolana perché indicavano soluzioni
in evidente contrasto con l’ordinamento feudale vigente, con gli indirizzi
fiscali della politica economica piemontese e con la cultura e la storia locali.
Colui che invece può essere considerato il primo economista sardo dei tempi
moderni e precursore della «rinascita» è il dott. Giuseppe Cossu, storiografo,
alto funzionario e scrittore di materie economiche, che dimostrò di possedere
una visione ampia e sicura delle condizioni storiche e ambientali della
Sardegna, di conoscere le reali esigenze e di saper indicare i mezzi e i modi
del suo effettivo rinnovamento nella continuità con il passato, senza
stravolgere con soluzioni rivoluzionarie gli equilibri esistenti. Egli, in
tempi di generale decadimento economico e sociale, seppe tracciare le vie
maestre per evitare le funeste conseguenze di una generale depressione e,
insieme, indicare gli accorgimenti pratici per adeguare le riforme governative
alle condizioni e possibilità dell’ambiente naturale ed umano.
In conclusione si evidenzia che quel poco che era stato possibile ottenere
dall’azione riformatrice fu merito degli sforzi di uomini come il Cossu, che
vedevano una soluzione valida nel collegare la realtà delle usanze comunitarie
alle strutture geo-morfologiche ed economiche con l’ausilio delle nuove
possibilità tecniche.
Fabrizio e Giovanna
Riferimenti bibliografici:
giovanni murgia, La società rurale nella
sardegna sabauda (1720-1847)
luigi bulferetti, Le riforme nel campo agricolo nel periodo sabaudo
lucetta scaraffia, La sardegna sabauda
carlino sole, La Sardegna Sabauda nel
Settecento
Francesco
Gemelli, Rifiorimento della Sardegna
proposto nel miglioramento della sua agricoltura
cossu Giuseppe, Descrizione geografica della Sardegna, a cura di Isabella Zedda Macciò
girolamo sotgiu, L’età dei Savoia, in “La Sardegna. Enciclopedia”, vol. I
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